Virginie Efira: «Si può essere madri anche se i bimbi non sono tuoi»

«La società di oggi non è più quella di dieci o venti anni fa. In questo periodo il ruolo della donna non è più legato esclusivamente alla sfera privata, non sei considerata completa solo se hai avuto dei figli. Ci si può realizzare anche in altri campi. Però, per ogni donna continua a ticchettare quell’orologio biologico che ti dice come, superata una data età, non potrai più procreare e costringe a un certo punto a prendere una decisione, definendo la propria vita». Virginie Efira, 45 anni, stella del cinema francese finita sulle copertine di tutto il mondo per il film scandalo Benedetta, in cui Paul Verhoeven, regista di Basic Instinct, raccontava l’amore lesbico tra due suore, spiega così il senso del suo nuovo lavoro, I figli degli altri, presentato in concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia e in uscita il 22 settembre nei cinema. Bellezza rassicurante, forme morbide da pin-up che ha più volte messo in mostra nei propri film, compreso questo di Rebecca Zlotowski, ma con uno spiccato senso dell’umorismo che la rende più arrivabile (e affabile) di certe sue colleghe troppo prese a fare le dive, Efira interpreta Rachel, un’insegnante che pur essendo single ha una vita piena. È arrivata però in quel passaggio della vita in cui le chance di mettere al mondo un figlio diminuiscono sempre più, come le ricorda il suo ginecologo. Le lezioni di chitarra sono galeotte e così Rachel conosce e si innamora di Ali (l’attore e regista Roschdy Zem), che ha una figlia piccola di nome Leila (Callie Ferreira-Gonçalves). Quando la bambina con i suoi capricci rende più difficoltosa l’intimità dei due amanti, la donna anziché mostrarsi infastidita la accoglie, la accudisce e inizia a farle da madre, senza sospettare che affezionarsi a lei in quel modo potrebbe essere pericoloso. «Nel momento in cui ho letto la sceneggiatura, ho sentito una connessione personale con Rachel» spiega Efira, che Panorama incontra in una suite dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia. «Quando raggiungi la mia età hai una certa esperienza. Anche io sono madre, sono stata insieme a un uomo che aveva altri figli, con i quali ho costruito un rapporto, anche se poi quando ci siamo lasciati ho dovuto dire loro addio. Inoltre anch’io, come la protagonista, sono una persona che cerca di cavarsela da sola, sono molto indipendente; ma poi, quando conosco qualcuno e mi innamoro, ho questa tendenza a fare famiglia. Scegliendo un copione, noi attori pensiamo sempre che un personaggio ci si adatti. In questo caso, però, il rapporto è stato molto più intimo che in altri».

Questo ruolo è molto distante da Benedetta o altri personaggi che lei ha interpretato. Rachel è una donna meno nevrotica della media.

In passato rappresentavo donne solide, sicure, con i piedi ben piantati per terra, ma quando ho superato i 40, non so perché, i miei personaggi sono diventati più «borderline», hanno difficoltà. Forse gli spettatori vedono il mio corpo, che non è fragile, e hanno il desiderio di ritrovare la fragilità nella psiche dei miei personaggi. In questo caso la regista aveva ben chiaro dall’inizio cosa desiderava.

Che cosa?

Voleva raccontare un sentimento preciso - che non ricordo sia mai stato trattato al cinema - quello di una donna che amando un uomo, ne accoglie anche la figlia nata da un’altra unione. Come regista Rebecca sa benissimo cosa vuole: sul set metteva della musica per farci capire il ritmo delle scene e mi spiegava spesso che tipo era Rachel e come doveva muoversi, anche se poi durante le riprese mi ha lasciato libera. Prima di girare mi ha anche chiesto di guardare un film con Diane Keaton: In cerca di Mr. Goodbar.

Il film all’inizio sembra una classica commedia romantica…

Sì, quando Rachel e Ali si incontrano tutto si incastra alla perfezione. Quando ti innamori è così: magari il giorno prima eri passato davanti alla Tour Eiffel illuminata e non l’avevi neanche notata, e il giorno dopo la vedi con occhi diversi.

Dopo lo scandalo che ha destato in Francia Benedetta per le sue scene scandalose, lascia stupiti il rivederla nuda nell’inquadratura in cui, dovendo scappare dal letto del suo amante perché la figlia lo reclama, finisce sul balcone…

Naturalmente si tratta di una scena senza alcuna connotazione, anzi è quasi comica. In alcuni casi mi sono rifiutata di girare scene di sesso o di nudo in film che non avevano una funzione precisa nella storia. Con Paul Verhoeven è stato diverso, perché lui è molto attento all’erotismo, alla sensualità dei gesti, dei corpi. In questo caso mi sono fidata dello sguardo della regista, ma girare quella sequenza non è stato così facile: avendo un piccolo budget, l’abbiamo realizzata in un vero appartamento e quindi quando sono uscita sul balcone nuda, i vicini potevano vedermi. Nella vita sono abbastanza timida, ho usato quel pudore per il mio personaggio, perché in realtà quando vado sul set mi trasformo completamente e mi spoglio di ogni timore.

Il successo di Benedetta ha fatto svoltare la sua carriera?

Mi sono arrivati più ruoli tra cui scegliere, certamente, ma a cambiare il mio percorso è stato qualche anno fa Victoria: fino ad allora interpretavo solo commediole romantiche, ma quel film ha dimostrato che potevo fare molto di più. Se si riferisce invece alla possibilità di avere una carriera internazionale, no. Purtroppo, come può sentire da questa intervista, il mio inglese non è assolutamente all’altezza (Virginie incespica, poi si ferma, esclama «putain!» e preferisce farsi tradurre da un’interprete, ndr) e questo è un enorme limite se si vuole lavorare all’estero.

Dicono che lavorare con i bambini sia un incubo. Com’è andata stavolta?

Molto bene perché Callie era sicura di sé, non ha voluto neanche fare delle prove. La parte più difficile è stata conquistare la sua fiducia. Il primo giorno che l’ho incontrata ha messo subito le cose in chiaro: tu non sei mia madre. Ma poi sono riuscita a diventare sua amica.