Ucraina, nei territori occupati da Mosca un referendum di sangue
I racconti di chi fugge da Melitopol: “Se voti no, hai 72 ore per andartene”,nella vicina Orichiv il rifugio degli sfollati. I cittadini più anziani sono stati i primi ad essere cooptati
«Le commissioni per il referendum hanno reclutato soprattutto signore anziane, spesso con le idee confuse o con un retaggio sovietico, prone alle pretese dei russi. Le stesse che si sono dimostrate, in questi mesi, le più collaborative con gli occupanti». Mentre nelle aree controllate dalle truppe di Mosca sono in corso le consultazioni popolari per incassare la russificazione dei territori di ucraini, centinaia di persone si avventurano in disperate fughe per non rimanere incastrati nella trappola messa a punto da Vladimir Putin. La corsa verso l’Ucraina libera vede un punto di raccolta a Orichiv, nell’Oblast di Zaporizhzhia, un posto fuori dai radar della grande informazione che ha documentato questi sette mesi di guerra, ma di importanza strategica per la sua posizione. Orichiv si trova a Sud-est di Zaporizhzhia, divenuta famosa per la centrale nucleare ora controllata dai russi e oggetto di una avventuriera ispezione da parte dei funzionari di Aiea, l’agenzia atomica delle Nazioni Unite. Orichiv è un posto di frontiera, in linea d’aria di fronte a Melitopol e non lontana da Mariupol. Davanti le prime linee dove i militari ucraini resistono stoicamente da mesi senza cedere un metro di territorio nonostante le violente spallate dei russi. Ed è anche un hub di accoglienza degli sfollati che fuggono dai territori occupati convergendo a Zaporizhzhia. Nonostante sia un centro nevralgico, l’attenzione nei confronti di questa realtà non è quella che merita, anche perché i combattimenti sono cruenti e con armi di ogni genere, tanto che la notizia di attacchi con droni kamikaze Geran-2 al quartier generale del comando meridionale a Odessa fa temere il peggio anche qui. «Siamo il fronte dimenticato», ci dicono i pochi rimasti non appena mettiamo piede in città. Orichiv contava circa 15 mila abitanti, oggi ce ne sono solo alcune centinaia, asserragliate nelle poche abitazioni rimaste in piedi, il resto è una distesa di ruderi e macerie. Il boato di artiglieria e missilistica è una sinfonia che ti accompagna dalle campagne alle porte della città sino al suo cuore, un cuore spezzato dalle evidenti crepe della violenza bellica. Il volto dei militari ai check point di ingresso racconta la lunga e silenziosa resistenza che ha caratterizzato questa città sin dal primo giorno di guerra, già il 24 febbraio Orichiv era in mobilitazione totale e grazie ad essa è stato possibile fermare l’orda barbarica russa che tentava di risalire da Mariupol e Melitopol. Una resistenza strana, efficace, ma anche silenziosa. Ed ora che il referendum rischia di trasformare queste zone da baluardo patriottico in «territori occupati dagli invasori di Kiev», il suo ruolo è ancora più strategico. Sia dal punto di vista militare che da quello civile. Mentre i reparti più preparati reggono la linea del fronte sud-orientale, alle porte della città gli allestimenti di accoglienza sono un altro bastione di civiltà. Visitarli, viverli, e conoscerli significa anche capire la vita al di là della linea del fronte. «All’inizio la resistenza contro i russi era forte, importante, viva. C’erano molte proteste, scendevamo in piazza con le bandiere ucraine, poi ad un certo punto le cose si sono messe male - racconta Svetlana -. I soldati hanno iniziato a portare i manifestanti negli scantinati, lì venivano tenuti per giorni in condizioni difficilissime, a poco a poco le dimostrazioni sono finite».
Svetlana è tra le centinaia di persone che sono riuscite a fuggire negli ultimi giorni, non voleva lasciare Melitopol, aveva la speranza che prima o poi sarebbe stata liberata, la vicenda del referendum però le ha messo paura, temeva che ci sarebbe stata un’altra ondata repressiva e così ha mollato tutto ed è andata via. Racconta che nella sua città, dove è nata e cresciuta, c’è ancora una resistenza che combatte ogni giorno contro i russi, partigiani coraggiosi che compiono atti di boicottaggio. «Quella gente ha acceso in noi la speranza di un riscatto, sono degli eroi, sono ancora lì e sono tanti», dice Irina. Ha due grandi occhi verdi che si gonfiano di lacrime quando racconta la sua gioia nell’aver visto la bandiera giallo-blu appena arrivata in territorio ucraino: «La prima dopo mesi». Il pensiero va poi ai concittadini rimasti a Melitopol costretti ad essere spettatori inermi della «farsa referendaria». «Come possono non votare, le donne assoldate si presentano con le urne casa per casa accompagnate da tre militari, se uno non apre iniziano a urlare, ti mettono i fogli davanti e dicono vota», dice Artem, un signore dalla mano tremula e la barba grigia come il cielo d’autunno di queste zone alle pendici ucraine. «Un ragazzo - prosegue - ha avuto il coraggio di votare no, i russi gli hanno detto che aveva 72 ore per andarsene dalla città, gli è andata bene». Il racconto di Melitopol è quello di una città invecchiata: «Dopo la repressione i giovani sono andati via, compresi noi», dice Oleksandra. A quale prezzo siete scappati?. «Abbiamo lasciato gli affetti alle nostre spalle, i nostri genitori sono rimasti lì, abbiamo cercato di convincerli a venire con noi, ma loro hanno detto che sono vecchi: «Salvatevi voi che siete più giovani». Violenze generazionali che gridano vendetta: «I russi hanno cercato di comprarci coi 3000 rubli che distribuivano nella forma di indennità - racconta Nataliya - gli ho detto che se li potevano tenere, che sarebbe stato ben più alto il prezzo della loro occupazione, poi però me ne sono dovuta andare. Mi è sembrato di morire, quando sono arrivata qui i militari mi hanno tranquillizzato: “Benvenuta a Orichiv la città del riscatto, da qui partiremo per liberare Melitopol, tra non molto potrà tornare a casa sua».