Giorgio Fornasier e i 50 anni dei Belumat: «Un concerto omaggio a Gianni Secco»
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A Cortina una serata per ripercorrere i successi del famoso duo dialettale musicale bellunese. Il cantautore: «Soddisfazioni soprattutto all’estero, qualche impegno e poi mi ritiro»
Un omaggio al fenomeno culturale dei Belumat. Nell’ultimo appuntamento della stagione estiva di CortinAteatro, Giorgio Fornasier ripercorrerà 50 anni di canzoni del noto duo musicale dialettale che ha composto con il (mai abbastanza) compianto Gianni Secco. L’uno tenore e chitarrista, l’altro ricercatore ed etnomusicologo, dal 1972 al 2007 hanno creato un repertorio capace di raccontare le tappe della vita, l’evolversi della società e dei suoi usi e costumi, l’emigrazione e l’incontro con le comunità venete sparse nel mondo. Un viaggio, “Quando i canti cantano e le canzoni canzonano”, che sarà rappresentato sabato alle 20. 45 all’Alexander Girardi Hall.
Giorgio Fornasier, che percorso potrà ascoltare il pubblico di Cortina?
«Un percorso scelto e vagliato da me perché sia un omaggio a Gianni Secco, alla bellezza, originalità, attualità e profondità dei suoi testi. È un evento culturale. Se la gente viene al concerto per ascoltare “I veneziani”, ha sbagliato serata, tanto per essere chiari. In 35 anni di vita musicale e 50 d’amicizia abbiamo scritto un centinaio di canzoni. La maggioranza di queste sono impegnate. C’è sempre una vena anche scherzosa, però sono profonde. Ho scelto un percorso che partirà da Belluno. E poi l’infanzia, l’amore, il lavoro, l’emigrazione, l’incomunicabilità e l’indifferenza… per terminare con “La vita”».
Com’è costruito questo concerto?
«Racconto dove e come è nata la canzone, cosa dice. Ci sono tante battute: ci si diverte anche. Inoltre, su uno schermo saranno proiettati i testi tradotti in italiano, perché non tutti capiscono il dialetto. Anche tanti bellunesi certe espressioni non le ricordano: ad esempio, i sciantis non sanno che sono i fulmini e le saette. In questa maniera, si seguono meglio alcune sfumature che altrimenti scappano».
Che immagine dei Belumat si vuole far emergere?
«Quell’immagine che è sempre stata trascurata nella nostra terra d’origine, mentre siamo molto più apprezzati fuori. I Belumat come fenomeno culturale, e non come cantanti da osteria, giullari e cabarettisti. Noi abbiamo fatto la storia del canto d’autore nel Veneto: abbiamo iniziato nel 1972; dopo di noi sono venuti tantissimi altri gruppi, che ci hanno anche imitato, e questo ci fa molto piacere. Ci tengo che esca questa immagine. Proponendo questo concerto, ho notato che molti non conoscevano alcune canzoni; è la prova che si sono fermati a “I veneziani”, “E la dis”, “I proverbi”. Ne esce un’immagine molto incompleta ed anche ingenerosa di cosa sono stati i Belumat».
Che ricordo ha dell’esperienza dei Belumat?
«Ricordi ne ho tantissimi. Abbiamo avuto grandi soddisfazioni, prevalentemente all’estero: pensiamo che quasi ogni emigrante d’origine veneta abbia in casa ancora oggi le nostre cassette. L’abbiamo toccato con mano girando il mondo. Posso raccontare un episodio di quando abbiamo fatto tutto il Sud America e siamo andati in Patagonia. Arrivati nella Terra del Fuoco, siamo entrati nella casa di una vedove. Sulla sua credenza c’erano la foto del marito con un fiore davanti, quella di papa Giovanni XXIII e le cassette dei Belumat. Sono soddisfazioni impagabili».
Questo sarà uno dei suoi ultimi concerti, prima del ritiro dalle scene.
«Farò ancora qualcosa ai primi di febbraio, concerti prenotati in precedenza o slittati causa Covid. Poi non prendo più impegni. Continuo a suonare e cantare: proseguo il mio servizio liturgico a Limana e in altre parrocchie. Per il resto, non vale più la pena continuare. Le soddisfazioni le ho sempre avute fuori, soprattutto all’estero. Io non viaggio più. Cosa vado a sprecare fiato ed energia? A 75 anni penso di aver dato tanto, ma la mia biografia l’hanno letta in pochissimi. Però mi ritiro serenamente. Non mi mancherà il palco».
Qualcos’altro di importante da aggiungere?
«Mi dispiace che la morte di Gianni sia passata in silenzio. Nessuno si è ricordato di lui. Sono due anni che non ne parlano nemmeno. Oltre i Belumat, Gianni è stato un grande ricercatore, poeta, scrittore, gastronomo; ha fatto delle pubblicazioni sulla storia della cultura popolare straordinarie, anche a livello internazionale. Il fatto che sia stato ignorato mi dispiace»