Edy Reja, il ct isontino della Nazionale albanese attende gli azzurri: «Il calcio? Si gioca troppo»
foto da Quotidiani locali
TIRANA Durazzo è sul mare. Durazzo è sotto una pioggia leggera ma fitta, mentre l’Albania aspetta l’Italia di Mancini che atterrerà soltanto nel pomeriggio nella capitale Tirana, a una quarantina di chilometri dal centro d’allenamento della federazione albanese c’è la Coverciano di Edy Reja, il ct che sta facendo un po’ come il collega Roberto Mancini.
Deve costruire la squadra per il futuro, per i prossimi Europei, anche se c’è un contratto in scadenza a dicembre ancora da rinnovare.
Dura la vita del ct. Non solo in Italia.
«Ma sto facendo il lavoro che mi piace, che mi entusiasma ancora», spiega il tecnico di Lucinico quando si parla di quel “nero su bianco” ancora da mettere sulla carta. «Ho 77 anni, so come funziona questo mondo e so anche di aver a che fare con un presidente Armand Duka, con il quale il rapporto è schietto. Sa come lavoro», sottolinea con un realismo da uomo di frontiera come il papà, nato a Vipolzano, in quella parte di Collio ora inSlovenia e la mamma di Lucinico, ma di lingua slovena. Ecco Edy, da più di cinquant’anni nel calcio di alto livello e oggi avversario dell’Italia baby di Mancini.
Reja, cominciamo da lontano, dall’azzurro: non ha mai sognato di vestire quella maglia quando era un giocatore?
In definitiva ha 123 presenze in serie A tra Spal e Palermo...
«A dire il vero io quella maglia l’ho vestita e con orgoglio. Era la maglia dell’Under 23 che una volta era l’anticamera della Nazionale maggiore. Nel 1967 giocai da titolare contro l’Inghilterra a Nottingham: perdemmo 1-0, ricordo che in squadra c’era Anastasi e Bob Vieri, insieme a tanti giocatori di Cagliari e Fiorentina che in quelle stagioni riuscirono anche a vincere lo scudetto».
I suoi sogni azzurri invece si fermarono al City Ground di Nottingham...
«Tutta colpa di un infortunio al ginocchio. Menisco con interessamento dei legamenti: allora non era semplice superare un problema del genere e per me fu una mazzata non solo in chiave azzurra, visto che ero stato anche opzionato dal Milan di Nereo Rocco».
Beh, ha continuato a giocare per altri dieci anni tra Alessandria e Benevento e due anni dopo era di nuovo nella mischia, da allenatore.
«Sì, il mondo del calcio è il mio mondo. Per questo continuo ancora e l’entusiasmo non mi manca mai è il mio carburante».
E fare l’allenatore le riesce bene: da allora 23 contratti tra club italiani, stranieri e ora rappresentative nazionali.
«Se i risultati non vengono nessuno ti regala un contratto. Per questo sono orgoglioso della mia carriera: ha fatto le serie minori, la A, le coppe, sono andato all’Hajduk in Croazia e ora in Albania. E ho avuto presidenti esigenti come De Laurentiis al Napoli e Claudio Lotito alla Lazio».
Insomma, non è spaventato dalle voci che riferiscono di una possibile candidatura di Gigi Di Biagio per la panchina dell’Albania. Che progetto proporrà al presidente Duka?
«Gli dirò semplicemente: che cosa vuoi fare adesso? È un uomo di calcio, oltre che un grande imprenditore: tv digitale, supermercati, vigneti, allenamenti. E un ruolo attivo nel direttivo dell’Uefa. Lui sa tutto e conosce la mia passione. Per certi versi mi ricorda Percassi, il presidentissimo dell’Atalanta, uno che ha avuto successo negli affari, ma ha pure fatto il calciatore da giovane».
Ma che futuro ha il calcio in Albania?
«Il progetto albanese è già tracciato: sono reduce da due amichevoli, una ad Abu Dhabi contro l’Arabia Saudita, dove abbiamo pareggiato per 1-1, e una a Marbella con il Qatar che si sta preparando per i Mondiali: lì abbiamo perso per 1-0, ma con tutti ragazzi delle squadre del campionato albanese che non hanno l’intensità e la malizia che serve a livello internazionale».
L’Albania ha mancato di poco la qualificazione almeno ai play-off per il Mondiale.
«Meglio che non ci penso a quel gol preso dalla Polonia a pochi minuti dalla fine. Al posto loro potevamo andarci noi. Ci è mancato davvero poco, ma il girone, vinto dall’Inghilterra non era semplice, ci siamo messi alle spalle un’Ungheria che avete visto quanto vale in Nations League. Niente, si tratta di lavorare proseguendo su questa strada».
Una difficoltà in più: Reja è costretto spesso e volentieri a girare l’Europa per tastare il polso ai tanti albanesi che giocano all’estero...
«Ultimamente sono fortunato, tanti fanno i professionisti in Italia: Djmsiti Ismajli, Hysaj, Bajrami, Kumbulla, Bajrami. Il problema delle nazionali in generale è rappresentato dal poco tempo che hai per incidere sul gioco, su quello che vuoi far proporre alla tua squadra. Per questo devi lavorare su uno zoccolo duro e aggiungere dei pezzi, dei giovani».
Mancini è rimasto un po’ fregato dallo zoccolo duro dopo la vittoria dell’Europeo.
«A volte noi allenatori ci lasciamo trasportare dalla riconoscenza. A volte è capitato anche a me. È successo anche a Mancini che aveva fatto un lavoro eccezionale vincendo gli Europei in Inghilterra. Ma in passato mi ricordo che accadde anche a Marcello Lippi, quando era in Nazionale».
Morale della favola, o dell’incubo calcistico, sta per partire un’altra edizione dei Mondiali senza l’Italia: che ne pensa?
«Sull’assenza della nostra Nazionale è già stato detto tutto e di tutto, compreso che Mancini non capisce più nulla, che è bollito. Figuratevi. Voglio invece parlare del Mondiale in Qatar in inverno, a metà della stagione in Europa: è uno scandalo. E non fatemi andare oltre».
Reja, si gioca troppo?
«Sì, bisognerebbe rivedere i calendari, il meccanismo delle qualificazioni forse, ma non è il mio mestiere, ci sono dei dirigenti e delle federazioni internazionali che devono pensarci. Io vedo solo che ci sono troppi infortuni».
Forse Uefa e Fifa si stanno facendo attrarre dal vortice dello spettacolo...
«Non lo so, anche se devo dire che dopo la pandemia il pubblico lo vedo più presente, partecipe ed entusiasta. Vedrete qui in Albania per questa amichevole».