Morta dopo l’intervento al cuore, 50 indagati: la famiglia chiede sia fatta luce sull’operato dei medici
L’intervento al cuore era riuscito a meraviglia e tutti, dall’ospedale di Pisa, in cui era stata operata, ai due di Marina di Massa, dov’era stata trasferita dopo le complicazioni sopravvenute durante la degenza in un centro di riabilitazione della stessa località, in provincia di Massa Carrara, avevano lavorato al meglio. Di questo sono persuasi gli stessi familiari.
Eppure, evidentemente qualcosa non ha funzionato. Perché Mariarosa Intilia a casa, nella sua Villa Santina, non è più tornata. È morta qualche settimana dopo, lo scorso giugno, all’età di 68 anni, nello sconcerto generale. E allora, i dubbi hanno imboccato una sola direzione: quella dell’istituto “Don Gnocchi”.
È lì, nella struttura sanitaria in cui avrebbe dovuto rimettersi in sesto, che a una decina di giorni dal suo arrivo aveva cominciato ad avvertire dolori a un braccio e a una spalla.
Ed è sull’operato del personale sanitario che la seguì che, ora, il marito Beppino Concina e i figli Claudio e Graziella, con l’assistenza legale dell’avvocato Gianmarco Romanini, di Viareggio, chiedono sia fatta luce.
Il fascicolo aperto sul caso dalla Procura di Massa per le ipotesi di reato di omicidio colposo e di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario, al momento, vede indagate cinquanta persone, tra medici e sanitari dei presidi coinvolti.
Compresi, quindi, l’ospedale “Cisanello”, in cui la paziente fu sottoposta a intervento e al quale lei stessa si era rivolta, dopo che l’anno prima era stata operata una prima volta a Udine, e il “Nuovo ospedale apuane” e l’ospedale del cuore “Gaetano Pasquinucci”, dove venne ricoverata quando il quadro clinico si era ormai aggravato.
L’inchiesta è alle battute iniziali: l’altro giorno, davanti al gip Marta Baldasserroni, si è aperto l’incidente probatorio, che proseguirà martedì prossimo con l’escussione dei periti del giudice.
Terminata l’udienza, il giudice restituirà gli atti al pm Giulia Giancola per il prosieguo dell’investigazione e gli eventuali ulteriori accertamenti ( nell’immediatezza, era stata eseguita l’autopsia) che riterrà di disporre, prima di chiudere le indagini preliminari e decidere se e nei confronti di quali indagati proseguire l’azione penale.
Intanto, è la figlia Graziella, che abita a Viareggio, a ricordare come, insieme alla mamma, avesse scelto proprio Pisa «per la disponibilità che le aveva dimostrato il primario di cardiochirurgia» e per «l’elevato livello professionale, dovuto anche all’ampia casistica» vantata da quella struttura sanitaria.
«Sul Cisanello, così come su Noa e Opa – ha affermato l’avvocato Romanini – non abbiamo nessuna recriminazione. Le nostre lamentele si riferiscono soltanto alla dubbia condotta del “Don Gnocchi”».
Per porgere l’estremo saluto a Mariarosa, che per anni aveva lavorato come infermiera nel reparto di Ortopedia dell’ospedale di Tolmezzo, si era dovuto attendere il 30 luglio. Il funerale era stato celebrato nella chiesa di Vinaio, la frazione dov’era nata insieme ai fratelli Enore e Clara, di cui era la maggiore.
«Una madre, moglie e sorella straordinaria. La sua scomparsa lascia un vuoto enorme, oltre che tanta rabbia al pensiero che avrebbe potuto essere ancora qua con noi – dice con la voce spezzata dalla commozione Clara, che invece abita a Comeglians e che a sua volta è infermiera in servizio nell’ospedale del capoluogo carnico –. Di lei conservano tutti uno splendido ricordo: dai colleghi, ai medici e ai pazienti. Perché – spiega – con il suo sorriso, l’empatia e la generosità sapeva rendersi speciale in ogni occasione».