Operai sfruttati e sottopagati: scarcerati i cinque cinesi indagati a Castelfranco
Tutti scarcerati. Il giudice Marco Biagetti, dopo aver convalidato l’arresto, ha imposto le misure cautelari dell’obbligo di dimora nella provincia di Treviso e dell’obbligo di firma giornaliero nella stazione dei carabinieri più vicina al luogo di residenza ai cinque cinesi finiti in manette all’alba di tre gironi fa, al termine di un blitz anti sfruttamento degli operai nelle loro aziende calzaturiere di Altivole e Borso del Grappa. Per il giudice non esiste il pericolo di reiterazione del reato perché le aziende sono state chiuse né di fuga perché si tratta di cittadini cinesi regolari nel territorio italiano.
Nel frattempo sono emersi nuovi particolari sulle accuse rivolte ai cinque principali indagati della vicenda, ossia i quattro cinesi della “ZX” di via Toniolo ad Altivole e la cinese che col marito lavora ad un tomaificio di via Vallina Orticella a Borso del Grappa (difesi dall’avvocato Paolo Pastre del foro di Treviso), dove erano impiegati numerosi operai pachistani, sfruttati per una paga che andava dai 3,20 ai 3,50 euro all’ora. Alla “ZX”, per esempio, gli operai pachistani che hanno denunciato lo sfruttamento venivano pagati circa 900 euro al mese per un orario giornaliero di 12 ore, dalle 10 alle 22. Ogni giorni di malattia o di permesso comportava un decurtamento della paga di 30 euro di un giorno effettivamente lavorato.
Erano, inoltre, costretti a lavorare anche di sabato e di domenica. Qui i lavoratori alloggiavano in due roulotte e due container, di cui uno utilizzato come bagno, con la presenza di un Wc chimico ed una doccia ricavata in modo rudimentale.
I pachistani che lavoravano per loro erano costretti a rimanere alle dipendenze della “ZX” dietro la minaccia di non ricevere l’ultima retribuzione mensile e di lasciarli senza un posto in cui vivere.
Anche la responsabile dell’unità lavorativa del tomaificio di Borso del Grappa, finita ai domiciliari e da ieri pomeriggio libera all’interno dei confini della Marca, è accusata, assieme al marito, di aver sorvegliato e sottoposto i lavoratori pachistani a condizioni lavorative impossibili. Una paga di 3,50 euro all’ora, con due sole domeniche al mese di libertà. Gli operai erano costretti a vivere in 8 all’interno di un appartamento contiguo alla fabbrica fatiscente e con servizi igienici inadeguati, in cui i letti erano arrangiati in tre stanze con reti e materassi.
Gli undici operai pachistani che hanno collaborato con gli investigatori dell’Arma sono stati collocati in strutture protette. Fondamentale, hanno sottolineato i carabinieri della compagnia di Castelfranco, coordinati dal maggiore Enrico Zampolli e della stazione di Riese comandata dal luogotenente Pozzobon, l’attività di un’associazione veneziana che ha affiancato degli interpreti e mediatori culturali agli operai che hanno collaborato nelle indagini.