C'era una volta la Groenlandia
La terra dell’estremo nord ha perso finora 5 mila miliardi di tonnellate di ghiaccio. La sua metamorfosi ha effetti drammatici sugli Inuit, sulla loro cultura e sulla natura di quei luoghi. Per non parlare di certi virus che si stanno risvegliando.
Benvenuti nella prima linea della guerra al riscaldamento globale. Si chiama Groenlandia, un’enorme calotta di ghiaccio grande sette volte l’Italia contornata da un intrico indecifrabile di fiordi. I suoi abitanti, 57 mila anime di origine Inuit, trovano posto nelle uniche zone abitabili, qualche isolotto qua e là lungo la costa, circondato da uno dei mari più freddi del pianeta. Per loro, insieme con il ghiaccio che si scioglie a un ritmo sette volte più veloce di 25 anni fa, a dissolversi è un intero mondo. Nella storia, non abbiamo altri esempi di esseri umani che nell’arco della loro vita hanno subìto cambiamenti così rapidi nel paesaggio, nelle abitudini di vita e nell’economia.
Basandosi sui satelliti Grace e Grace Follow-On, la Nasa ha calcolato che dagli anni Duemila la Groenlandia ha perso 5 mila miliardi di tonnellate di ghiacci. Solo la scorsa estate, a luglio, quelli nell’area nordovest dell’isola hanno ceduto 6 miliardi di tonnellate d’acqua al giorno: tanto da riempire 7,2 milioni di piscine olimpioniche. Dalle coste alle montagne lo spessore è diminuito di 5 metri in poco più di vent’anni. Nella baia di Disko, affacciata a ovest dell’immensa isola, man mano che 35 chilometri cubi di ghiaccio si riversano in mare ogni anno, gli abitanti vedono estendersi la tundra, di fatto un deserto dove nemmeno un filo d’erba può mettere radici date le estati brevi e le basse temperature.
Il succedersi ordinato delle stagioni, dell’arrivo della neve, dell’alternarsi del vento, che aveva scandito i ritmi di vita di generazioni Inuit e plasmato la loro sapienza, è un lontano ricordo. Ora, da un giorno all’altro il tempo è imprevedibile, gli inverni sono talvolta troppo caldi e le estati troppo fredde, la pioggia flagella per giorni molte zone dell’isola. Non c’è migliore esempio della Groenlandia per mostrare come i cambiamenti dell’ambiente abbiano un riflesso sui modi di vita, la salute e perfino la psiche. Per gli Inuit, il ghiaccio è tutto. Senza strade che collegano l’uno all’altro fiordi e villaggi, era il permanere della superficie di acqua gelata - da attraversare con slitte trainate da cani o motoslitte - a consentire di cacciare, spostarsi e incontrarsi. Oggi che il ghiaccio non si forma, o è così sottile da essere pericoloso, diventa un ostacolo alla vita sociale ed economica. Le comunità sono prigioniere delle loro isole e i cacciatori di foche e pescatori del tradizionale halibut lavorano nella minaccia di sprofondare in acqua.
I latrati dei cani da slitta che arrivano da lontano sono sempre più rari ora che la loro popolazione si è più che dimezzata: nel solo villaggio di Ilulissat, vent’anni fa ce n’erano circa 5 mila, scesi a poco meno di 1.800. Con loro scompare un’intera cultura basata su tecniche di addestramento e di incrocio nonché sulla stessa relazione uomo-cane che permeava la vita di bambini e adulti. L’esploratore e antropologo groenlandese Knud Rasmussen, al quale dobbiamo i materiali più preziosi degli Inuit, racconta che ai piedi della salma di un defunto, accanto alle miniature di tutto ciò che era importante nella sua vita, veniva riposto il ritratto in miniatura del cane preferito. Oggi, molti vengono abbattuti dai loro proprietari che non possono più sostentarli preferendo questa soluzione a quella di regalarli a chi non li tratterebbe come meriterebbero.
Secondo un’analisi su Pnas (Proceedings of the Royal Society) inoltre, con i ghiacci che abbandonano completamente vasti territori, il rischio di nuove epidemie causate da un salto di specie, il cosiddetto «spillover», è maggiore che nel caso di contatto con specie selvatiche come uccelli e pipistrelli. Esistono infatti molti virus e batteri che da epoche remote sopravvivono intrappolati nel ghiaccio e possono reinfettare forme viventi una volta «risvegliate» dalla sua fusione. Non solo questa eventualità è stata documentata dallo studio di Pnas con analisi genetiche, ma esistono alcuni precedenti. L’ondata di caldo che nel 2016 sciolse il permafrost (il terreno perennemente ghiacciato delle zone fredde) nel nord della Siberia viene ritenuta dagli esperti la causa di un’epidemia di antrace (Bacillus anthracis) che ha ucciso un bambino e infettato decine di persone. Come spiega Magali Lescot, ricercatrice all’università francese di Aix-Marseille e coautrice dello studio su Pnas, «oltre all’antrace sono in agguato diversi altri microbi intrappolati nei ghiacci. Noi per esempio abbiamo isolato un virus gigante chiamato Pithovirus sibericum che può essere considerato un indicatore di rischio. Quello che voglio dire è che lo scioglimento del permafrost, causato dal riscaldamento globale o dallo sfruttamento industriale delle zone circumpolari, potrebbe non essere esente da rischi sulla salute, non solo delle specie selvatiche ma anche delle popolazioni locali».
Un’analisi statistica, il Greenlandic Perspectives Survey, ha rivelato che il 92 per cento della popolazione della Groenlandia pensa che non solo il riscaldamento globale ci sia, ma che i suoi effetti sono negativi; solo l’1 per cento è scettico. Il 72 per cento ritiene che il ghiaccio sia divenuto più pericoloso e il 75 ha sperimentato su sé stesso le conseguenze dei cambiamenti climatici. La Nasa ha calcolato che se tutto il ghiaccio della Groenlandia si sciogliesse, il livello del mare salirebbe di 7,4 metri. Con un aumento delle temperature di 1,5 gradi l’innalzamento sarebbe di 77 cm, disastroso per molte regioni del pianeta.
Non manca chi guarda ai (pochi) lati positivi. Inverni più miti in Groenlandia determinano più nutrienti in mare e dunque maggiori quantità di pesce catturato con grandi pescherecci ora attivi tutto l’anno. E si stanno aprendo rotte commerciali attraverso traiettorie un tempo non percorribili. Ma è magra consolazione: vantaggi a breve termine che saranno vanificati dalla crisi economica globale causata dai cambiamenti climatici. Infine, indagini condotte da varie associazioni di medici, come la Canadian Association of Physicians for the Environment, affermano che sono in forte aumento da circa 15 anni sia il tasso di suicidi, con otto adolescenti che si sono tolti la vita in un villaggio di 4 mila abitanti vicino Ilulissat in un arco di tempo breve, sia il tasso di disoccupazione e alcolismo.
Nel 985 a.C. il condottiero vichingo Erik il Rosso scoprì la Groenlandia dandole un nome che vuol dire «terra verde», tanto a quel tempo era ricca di vasti pascoli, fiori multicolori e moltitudini di uccelli. Si sa che il clima terrestre è profondamente mutato nelle varie epoche. La Groenlandia passò da un clima freddissimo a uno mite per poi ritornare ancora a un ambiente rigido in circa 5 mila anni. Ci fu tutto il tempo per adattarsi. Le emissioni di gas serra causano invece cambiamenti visibili e repentini nella breve scala di una vita umana.