La morte misteriosa del ministro degli esteri bielorusso, l'ennesima di una lista anomala
L’improvvisa morte del ministro degli Esteri bielorusso Vladimir Makei, avvenuta lo scorso 26 novembre, è l’ennesimo mistero sullo sfondo della guerra in Ucraina. Il sessantacinquenne Makei non era malato e solo tre giorni prima della morte aveva preso parte a un summit sulla sicurezza fra gli stati dell’ex-Urss rimasti fedeli a Mosca.
Vladimir Makei aveva in programma un viaggio a Mosca previsto per il 28 novembre dove avrebbe avuto una riunione con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov per affrontare una serie di temi tra i quali quello del conflitto ucraino. Di cosa è morto il ministro bielorusso? Il portavoce del dicastero Anatoly Glaz, citato da Sputnik Bielorussia, ha solo detto che «il ministro degli Esteri Vladimir Makei è morto improvvisamente» senza rendere note le cause del decesso. Prima di diventare ministro degli Esteri nel 2012, Makei era stato capo dello staff del presidente Aljaksandr Lukashenko e nel settembre scorso aveva difeso la posizione della Bielorussia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con queste parole: «La Bielorussia è indicata come un complice dell'aggressore o addirittura una parte in conflitto. Abbiamo detto e continuiamo a dire: la Bielorussia non ha mai sostenuto la guerra. Ma non siamo nemmeno traditori! Abbiamo impegni coi nostri alleati e stiamo seguendo rigorosamente questa linea, continueremo a farlo secondo quanto stabilito nei trattati internazionali di cui facciamo parte». Secondo alcuni osservatori nel corso degli ultimi mesi Makei si era sfilato dall’influenza russa temendo che il suo Paese venisse coinvolto direttamente nella guerra; di questo ne è convinto Anton Gerashchenko, consigliere del ministero dell'Interno ucraino che su Twitter ha scritto: «Era uno dei pochi non sotto l'influenza russa. Le voci dicono che questo potrebbe essere un segnale per Lukashenko», mentre i servizi segreti ucraini sono convinti che il ministro bielorusso sia stato avvelenato dai russi.
La morte di Vladimir Makei secondo il centro studi americano Robert Lansing Institute rientrerebbe in un disegno ben più ampio perché il leader russo Vladimir Putin ha deciso di trascinare la Bielorussia in guerra tramite un attentato al presidente Alexsandr Lukashenko. Gli analisti americani, citando fonti dei vertici militari russi, scrivono che al ritorno dall’ultimo vertice dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) in Armenia, Vladimir Putin avrebbe dato ordine all’intelligence militare (Gru) di preparare un attentato contro Lukashenko e sarebbero due gli scenari allo studio del Gru. Un falso tentativo di uccidere Lukashenko, con l'obiettivo di spaventarlo e obbligarlo a entrare in guerra contro l'Ucraina a fianco di Mosca, oppure la sua uccisione. Se venisse scelta la seconda opzione, alla guida del paese verrebbe messo il segretario generale del Csto, Stanislav Zas, conosciuto per essere un fedelissimo di Mosca e vicino agli uomini del Gru. In entrambi gli scenari, sia che si tratti di un attentato fallito o riuscito contro Aleksandr Lukashenko, «verranno presentate prove fabbricate del coinvolgimento di Ucraina e Polonia sotto la guida dell'intelligence della Nato», circostanze che offriranno un pretesto formale per l'ulteriore partecipazione dei soldati bielorussi in operazioni di combattimento sul suolo ucraino. L'obiettivo finale di Mosca è comunque una fusione dei due eserciti sotto il comando del Cremlino e se Lukashenko dovesse rimanere vivo, verrebbe di fatto privato di ogni potere e il paese andrebbe verso l’annessione con la Russia. Ma perché mai Vladimir Putin avrebbe deciso di abbattere Aljaksandr Lukashenko che ha appoggiato fin da subito l’invasione russa dell’Ucraina e ha consentito alle truppe di Mosca di transitare sul proprio territorio per condurre l’attacco, oltre a fornire sostegno politico e logistico all’operazione? Il motivo è semplicissimo, la Russia ha disperatamente bisogno di uomini e mezzi visto che ad oggi -secondo il Pentagono- ha perso più di 100 mila fra morti e dispersi tanto da essere costretta per poter continuare la guerra ad arruolare soldati nelle carceri, con la promessa del condono della pena, senza dimenticare «la mobilitazione parziale della popolazione».
La Russia ha quindi bisogno di forze fresche da mandare al fronte ucraino e l’esercito bielorusso sarebbe ideale per dare una mano alle sue truppe, tuttavia, fino ad oggi Aljaksandr Lukashenko non ha rotto gli indugi perché teme ulteriori sanzioni occidentali contro la Bielorussia, le proteste della popolazione e il possibile ammutinamento del suo esercito, senza contare che Kiev non starebbe certo a guardare. Ma che contributo potrebbe dare l'esercito bielorusso in termini di uomini e mezzi? Secondo il Generale di Corpo d’Armata Maurizio Boni: «Le forze armate bielorusse sono le eredi di quelle che erano di stanza nel paese sotto il dominio sovietico, dove svolgeva il ruolo di retroguardia significativa per gli eserciti sovietici di stanza in Polonia e Germania dell'Est. Dalla fine della Guerra fredda hanno subito solo riforme parziali di ammodernamento. Dispone attualmente di circa 65.000 uomini in servizio attivo con la possibilità di mobilitarne ulteriori 290.000, ed è armato con sistemi d’arma ed equipaggiamenti piuttosto datati. Secondo le analisi più recenti, le forze terrestri immediatamente disponibili potrebbero ammontare a circa 10-15.000 soldati e 1.200 carri armati (parte dei quali probabilmente già forniti ai russi per rimpiazzare le elevate perdite subite), quasi 600 tra obici, cannoni e lanciarazzi multipli e distaccamenti operativi delle forze speciali ben addestrati e capaci. Queste ultime, a differenza dell'esercito bielorusso che non ha esperienza sul campo di battaglia, hanno partecipato a missioni di ‘mantenimento della pace’ in Libano, hanno lavorato con la missione Osce nel Donbas e hanno preso parte alla soppressione delle rivolte in Kazakistan nel gennaio 2022. In ogni caso non credo che siano la capacità militari delle forze bielorusse a preoccupare Kiev, quanto il fatto dell’apertura di un nuovo segmento del fronte, quello settentrionale, in grado di minacciare direttamente la capitale ucraina e costringendo gli ucraini a orientare una parte del proprio dispositivo difensivo verso questa nuova ipotesi d’impiego». Per Vladimir Putin il mancato coinvolgimento della Bielorussia nella cosiddetta «operazione militare speciale» è un vero tradimento visto che solo due anni fa le truppe di Mosca avevano aiutato Lukashenko a sedare la rivolta popolare contro l’ennesima elezione truffa che ha consentito al padre padrone della Bielorussia di restare al potere che detiene ininterrottamente dal 20 luglio 1994. Da mesi Putin preme sul leader bielorusso affinché entri in guerra contro l’Ucraina ma se inizialmente Lukashenko sembrava convinto di farlo l’andamento della guerra, le sconfitte riportate dai russi, le sanzioni e gli aiuti militari occidentali a Kiev lo hanno dissuaso dallo schierarsi senza se e senza ma con la Russia preferendo le parole di sostegno che i fatti. Tutto questo Vladimir Putin lo sa e ora avrebbe deciso di chiudere la partita. Ovviamente a modo suo.