I duellanti del Pd
«L’uomo da battere è il Bruce Willis di Campogalliano». Con la definizione pop Matteo Renzi ha ottenuto tre risultati: fotografare il machismo californian-modenese di Stefano Bonaccini con gli occhiali a goccia, la pelata Armageddon e gli stivali tex-mex; intestarselo come centravanti di sfondamento del riformismo al ragù; far impazzire i colonnelli dem, che ora considerano il governatore dell’Emilia-Romagna più o meno come Attila mandato dal nemico a conquistare il Nazareno per rottamarli. Stiamo parlando delle primarie del Pd, l’evento politico più simile a X Factor. È in programma il 19 febbraio ma è già dominante sottotraccia nella sinistra smarrita e confusa che un giorno si è svegliata all’opposizione.
Diceva Romano Prodi: «Competition is competition, lì deve scorrere il sangue». Allora meglio prepararsi per tempo, soprattutto in quella maionese impazzita che è la Ditta, dove le correnti hanno ricominciato ad alzare la voce e a sbranarsi. Base riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti contro la Sinistra dem di Andrea Orlando e Nicola Zingaretti; i Giovani turchi di Matteo Orfini contro i postmarxisti di Peppe Provenzano; governatori e sindaci da una parte, basilischi orfani di Giuseppe Conte (come il guru Goffredo Bettini) dall’altra. E in mezzo, Area cattodem di Dario Franceschini in strategico surplace per capire chi vincerà prima di schierarsi.
Il volto del dimissionario Enrico Letta è da sfinge ma dietro di lui la rissa è da saloon. Chi chiedeva le primarie immediatamente, come Andrea Marcucci, sibila: «Il segretario rischia di fare più danni dopo il 25 settembre che prima». Proprio un bel clima. Per fermare il re degli Unni in arrivo dalla regione dei motori con effluvi di benzina combusta, la sinistra-sinistra ha avuto un’idea: appoggiare Elly Schlein, sua ex vice, pasionaria del mondialismo green con tre passaporti (italiano, svizzero e americano), neodeputata del Pd senza essere iscritta al Pd. Curiosa contraddizione, come se non ci credesse abbastanza. Per consentirle di partecipare alla gara è stata inserita nello statuto la norma salva-Schlein: puoi essere candidato anche se non hai la tessera del partito. Qualcuno ha sollevato dubbi sull’«identità valoriale» ma è stato zittito da due esempi: alle ultime regionali emiliane Bonaccini aveva chiesto di non usare il simbolo sui manifesti e alle suppletive di Siena lo stesso Letta si era tenuto alla lontana dal marchio Pd. Vergogna di sé stessi o forza dell’assenza?
Bonaccini-Schlein, i duellanti. Ci vorrebbe Joseph Conrad a raccontarli mentre si inseguono nelle umide brughiere all’alba. Lui da mesi spara alzo zero sull’establishment: «Mi ha fatto impressione vedere i dirigenti candidati nei listini e non nei collegi uninominali, a conquistarsi i voti uno a uno come fanno i sindaci». Lui simbolo dell’Emilia riformista figlia della frase di Nino Andreatta: «Il socialismo è il capitalismo governato da noi». Ma prigioniero della sentenza di Palmiro Togliatti: «Da Bologna a Roma vengono buoni amministratori, non buoni segretari». Lui tutto ceti medi e nanotecnologie, appoggiato dagli ex renziani, dai Giovani turchi, da sindaci nordici e pesanti come Giorgio Gori (Bergamo) ed Emilio Del Bono (Brescia), dalla corrente moderata di Graziano Delrio, da molte ladies in pashmina rossa come Alessia Morani, Alessandra Moretti, Valeria Fedeli, Titti Di Salvo, e da una macchina di preferenze come Patrizia Prestipino.
Schlein immagine vivente del conformismo da salotto metropolitano, legittimata quando all’ultimo comizio preelettorale oscurò il segretario facendo il verso a Giorgia Meloni: «Io donna, lesbica, non madre e non italiana». Lei custode del mondo Lgbtq+, della giustizia climatica, dei diritti universali, titolare di perle di saggezza da comizio studentesco come «serve un impegno collettivo, decliniamo il noi, ci sono grandi trasformazioni sul pianeta». Mettendo insieme tutte le sue risposte alle interviste si ottiene il testo del prossimo singolo di Manu Chao. «Bettini non la può vedere manco dipinta» spifferano dal Nazareno. Ma voterà e farà votare per lei notabili come Orlando, Provenzano, Zingaretti, Letta, Boccia, forse Franceschini e tutti coloro che temono la vittoria del dandy riformista modenese. Grisaglie da sartoria con rivoluzionaria chic: la foto di gruppo è straniante.
Accanto alla Schlein si muovono entusiaste le galassie movimentiste: Occupy Pd risorge dalle ceneri, Brando Benifei chiama a raccolta i quarantenni social, le Sardine di Mattia Santori ricominciano a guizzare. Poiché tutto ciò somiglia a un luna park, s’avanzano anche ipotetiche candidature più istituzionali, come quella di Dario Nardella (che potrebbe fare ticket con Heidi-Schlein), di Matteo Ricci sostenuto dal partito dei sindaci, dell’ex ministra Paola De Micheli per garantire la sopravvivenza dell’establishment. E dell’incontrollabile «one man show» partenopeo Vincenzo De Luca. Il primo sondaggio (di Ilvo Diamanti) è una sentenza: Bonaccini 32 per cento, Schlein 8 per cento, gli altri non pervenuti.
Se a Roma si litiga, nei territori si piange; neppure sulle regionali di fine inverno il Pd riesce a essere unito. Nel Lazio ha deciso di sostenere il suo assessore alla Sanità Alessio D’Amato, peraltro candidato a tradimento da Carlo Calenda. Mossa che ha fatto dire a Conte: «Allora noi andiamo da soli o con chi è contrario al termovalorizzatore». Cioè Nicola Fratoianni e i Verdi. Una volta si stacca l’ala destra, un’altra l’ala sinistra; mai che l’aeroplano dem riesca a decollare. In Lombardia va anche peggio. Per non scendere a patti con Letizia Moratti, descritta per 25 anni come una diavolessa, la Ditta candida l’eurodeputato Pierfrancesco Majorino, postmarxista radicale a metà strada fra centri sociali, gay pride e George Clooney per via della villa (della moglie) sul Lago di Como. Di lui Dario Fo disse: «È indegno di Milano», figuriamoci di Clusone e Lumezzane.
La sinistra in eterno movimento rischia di arrivare disunita alla meta (delle primarie) con altre due spine nel fianco. 1) Perfino i micro alleati dettano condizioni: Articolo 1 vorrebbe prima il congresso per non dover entrare in una «cosa» da cui era uscito cinque anni fa. 2) Il magma rosso non riesce neppure a organizzare una manifestazione sola contro la manovra di destra: il 17 dicembre rischiano di essercene due, una guidata da Letta, l’altra da Conte. Direbbe Roberto Speranza: «Urge tachipirina e vigile attesa». Stremati dalle risse, ai leader piddini non resta che distrarsi come fa Walter Veltroni: scrivere. Da buoni intellò gauchistes engagés si sfidano a colpi di libri. In un mese sono usciti La città universale di Nardella, Il Paese che vogliamo di Bonaccini, La sinistra e la scintilla di Provenzano. E la sub-limazione suprema A sinistra da capo di Bettini con postfazione di Orlando. Purtroppo per loro, in questa stagione da incubo, i dati di vendita sono come quelli elettorali. L’unica a tirare è l’autobiografia della Meloni.