Peculato e truffa, il ginecologo Litta si difende in tribunale: «Stavo in ospedale il doppio dell’orario»
A quasi quattro anni dall’inizio della sua disavventura giudiziaria, per la prima volta ha parlato in un’aula di giustizia il professor Pietro Salvatore Litta, 70enne ginecologo con residenza a Venezia Cannaregio e domicilio a Padova all’Arcella, già responsabile dell’Unità operativa di Chirurgia pelvica mininvasiva dell’Azienda ospedaliera, accusato, in un articolato capo d’accusa riguardante vari episodi, di peculato e di truffa con l’aggravante di aver abusato della qualifica di pubblico ufficiale. E lo ha fatto davanti al tribunale di Padova che, il prossimo 13 dicembre, pronuncerà la sentenza.
Dall’inchiesta al processo
Il 13 gennaio 2018 durante il programma “Petrolio” in onda su Rai Uno – condotto da Duilio Gian Maria e dedicato ai 40 anni del Servizio sanitario nazionale – era stato trasmesso un servizio nel quale lo specialista (ripreso con una telecamera nascosta) avrebbe chiesto duemila euro a una paziente che, in realtà, era la cronista Francesca Biagiotti. La proposta – almeno da come risultava – era stata lanciata dal medico (non immediatamente identificabile in quanto il volto era pixelato) per ridurre i tempi di attesa di un intervento di chiusura delle tube a scopo contraccettivo. L’episodio si era svolto il 19 dicembre 2017 in un ambulatorio della Clinica Città Giardino di Padova dove Litta era stato autorizzato a svolgere attività privata al di fuori dell’orario di lavoro. Il servizio aveva dato il via all’inchiesta coordinata dal pm padovano Silvia Golin che ha chiesto e ottenuto di mandare a processo il ginecologo.
I soldi in nero
Di fronte all’accusa di aver incassato 250 euro in contanti e in nero per aver visitato la giornalista Rai che ha filmato quell’incontro, ieri Litta ha risposto: «Quei soldi non li ho mai presi da nessuno. Quando lei ha pagato in segreteria, io non c’ero e si vede nel filmato». È il 19 dicembre 2017 e a un certo punto l’addetta alla segreteria dice “Dottore aspetti un attimo”. Litta ha precisato: «Non si rivolgeva a me, tutti mi chiamano professore (è stato docente associato nell’Università di Padova). Se fossi andato a prendermi quei soldi sicuramente mi avrebbero filmato. Trovo offensivo anche solo pensare che potessi avere interesse a incassare 250 euro in nero quando dichiaro 450 mila euro all’anno al Fisco».
La convenzione scaduta
L’accusa è di aver eseguito visite private nonostante fosse scaduta la convenzione, nel febbraio 2017, tra la Clinica Città Giardino – dove riceveva le pazienti in regime extramoenia – e l’Azienda ospedaliera (dove lavorava). «Nessuno mi ha mai informato che la convenzione era scaduta. Nessuno mi ha mai detto “non puoi più visitare in Città Giardino”. Anzi, il dottor Luca Siliprandi (titolare della Clinica) mi riferì che era stata rinnovata la domanda per la convenzione prima della scadenza». La difesa (il professor Alberto Berardi) ha consegnato ai giudici della documentazione precisando che il rinnovo della convenzione era una questione fra la clinica privata e l’ente ospedaliero.
La prescrizione in azienda
Nel giugno 2017 una prescrizione firmata dal professor Litta al termine di una visita privata, non più coperta dalla convenzione di cui nulla sapeva il medico, finisce in Azienda ospedaliera: è qui che, pur privatamente, la paziente decide di farsi operare dallo stesso cattedratico, facendo di fatto incassare all’ospedale 12 mila euro. Litta ha ribadito: «Nessuno mi informò che non avrei potuto visitare la signora anche se in Azienda è finita la mia prescrizione».
La clinica all’Arcella
Nel 2009 l’Azienda ospedaliera interrompe i rapporti in convenzione con la Clinica Med, con sede all’Arcella. Clinica con la quale il professor Litta collaborava al tempo. «In quell’occasione» ha ricordato il professore, «ricevetti la comunicazione formale che non potevo più visitare nella struttura». Una versione confermata in aula dal direttore amministrativo della clinica, il dottor Carlon. Memore di quell’esperienza, lo specialista aveva continuato a visitare a “Città Giardino” ritenendo in buona fede di poterlo fare, fermo restando – ha chiarito – di avere il dovere di assistere chi aveva prenotato da tempo.
La visita mentre era in ferie
Tra i vari capi d’accusa, il ginecologo è stato chiamato a rispondere di truffa per aver eseguito una visita privata mentre si trovava in ferie e un’altra durante l’orario di lavoro nel giugno 2017. Il medico ha spiegato che in base al contratto era tenuto a svolgere 76 ore mensili di servizio, in pratica 19 ore settimanali e, in quel mese di giugno, aveva lavorato ben 177 ore. Non solo. Gli sono state contestate anche quattro visite avvenute la mattina di lunedì 27 novembre 2017. Una mattina durante la quale – secondo la procura – il professor Litta avrebbe dovuto essere in ospedale.
Tuttavia il professor Berardi, legale del medico, ha consegnato altra documentazione per dimostrare che Litta aveva lavorato per 12 ore il sabato precedente e, pertanto, il lunedì aveva diritto a una giornata di riposo dall’attività ospedaliera. Il difensore ha pure consegnato al tribunale tutti i turni svolti dal professor Litta nel novembre 2017 firmati dall’allora primario della Clinica ginecologica Nardelli: dalle carte emerge che nella settimana dal 27 novembre al 2 dicembre il medico non aveva più un minuto di servizio da svolgere in ospedale, avendo già accumulato nel mese 160 ore di lavoro.