La Corte d’Appello all’infermiera no-vax: «Atteggiamento furbesco»
IVREA. Le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello non lasciano dubbi: l’infermiera che aveva chiesto il risarcimento all’Asl/To4 per non essere stata destinata ad altra mansione dopo essersi rifiutata di fare il vaccino ha interpretato una sceneggiata e ha agito con un atteggiamento definito “ostruzionistico e furbesco”.
È del 10 di novembre la sentenza della Corte d’Appello di Torino che legittima il comportamento tenuto dall’azienda sanitaria locale, rappresentata dall’avvocato Andrea Castelnuovo, del foro di Torino. Le motivazioni sono state rese note ieri e sono in netto contrasto con quanto deciso dal tribunale di Ivrea il 15 marzo scorso.
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La vicenda
Il 4 settembre 2021, giorno in cui avrebbe dovuto vaccinarsi a Cuorgnè, l’infermiera originaria di un Comune dell’Eporediese e in servizio all’ospedale di Castellamonte, si era presentata accompagnata dai legali, spiegando al medico vaccinatore che lei si sarebbe vaccinata, ma senza firmare il consenso informato. Per l’infermiera la vaccinazione obbligatoria per lavorare era equivalente a un trattamento sanitario obbligatorio. Il vaccinatore non aveva potuto somministrarle il vaccino e da quel momento l’infermiera era stata sospesa dal servizio. Per questo aveva presentato ricorso alla sezione civile dedicata al lavoro del tribunale di Ivrea. Il tribunale eporediese aveva condannato l’Asl/To4 a pagare le retribuzioni maturate e non percepite dalla data della sospensione a quella dell’effettiva riammissione del 21 gennaio scorso.
Il ricorso in appello
L’azienda sanitaria aveva fatto ricorso e la Corte d’Appello l’ha accolto. L’Asl/To4 durante la pandemia ha adottato un provvedimento per stabilire le linee guida e disciplinare le sospensioni dal servizio in caso di inosservanza dell’obbligo vaccinale, come previsto dal decreto legge 44/2021 sulle misure urgenti di contenimento del Covid-19. Emerge dalla sentenza che è “ragionevole e non arbitraria la scelta di un’azienda sanitaria pubblica di riservare i posti di lavoro che non implicano rischi di diffusione del contagio ai soli operatori che non possono vaccinarsi per accertato pericolo per la salute e ai soggetti fragili”.
Inoltre, nemmeno l’infermiera reintegrata ha saputo fornire indicazioni sull’esistenza di posizioni disponibili in cui essere ricollocata all’interno dell’Asl. La sospensione, quindi, risultava pienamente legittima: la vaccinazione è un requisito essenziale per la professione sanitaria, ma l’operatore è libero di non vaccinarsi. In tal caso, la legge prevede che l’azienda lo sospenda dal servizio senza stipendio. Inoltre, il paragone tra il vaccino e il trattamento sanitario obbligatorio è stato definito un “ragionamento sofistico, privo di qualunque aggancio con la realtà e la legge”: sono trattamenti sanitari obbligatori, infatti, solo quelli previsti per i pazienti psichiatrici che rifiutano le cure mediche, che prevedono vari pareri medici, un’ordinanza del sindaco che deve essere convalidata dal giudice tutelare. L’infermiera all’hub vaccinale ha avuto “un atteggiamento ostruzionistico e furbesco”, cercando di addossare ad altri la responsabilità di una scelta soltanto sua.
Il legale
Soddisfazione per l’avvocato Castelnuovo: «Contavo sul fatto che la Corte d’Appello avrebbe rimesso questa vicenda in linea con la giurisprudenza di tutti i tribunali d’Italia, dei Tar e del Consiglio di Stato: l’idea che l’obbligo vaccinale, che alla fine dei conti è semplicemente un requisito per poter lavorare al pari della laurea e della specializzazione, fosse alla stregua di un Tso era inaccettabile. Però il vero tema della causa era se l’azienda sanitaria, ogni qualvolta un operatore sanitario non volesse vaccinarsi, dovesse andare alla ricerca di un posticino comodo e tranquillo per lui. Secondo il tribunale sì, secondo la Corte d’Appello assolutamente no. La nostra Asl, come tutte le altre, ha fatto una delibera equa e ragionevole per assegnare i pochissimi posti disponibili agli operatori sanitari non vaccinati non per volontà, il più delle volte metafisica e antiscientifica, ma per necessità clinica. Sono casi che si contano sulle dita di mezza mano, come i posti, che non possono essere sprecati».