La madre di Riccardo, scomparso a 26 anni: «È morto per la bugia sulla laurea. La colpa è anche nostra»
foto da Quotidiani locali
«Gli chiedevamo notizie. Gli dicevamo: muoviti. Gli ricordavamo che se non aveva niente da fare, sarebbe dovuto andare a lavorare. Sono le cose che si dicono, lo fanno tutti i genitori. Ci sembrava la normalità. E invece proviamo un grande senso di colpa, perché non siamo riusciti a capire nostro figlio».
La mamma e i fiocchi rossi
Luisa Cesaron, 54 anni, casalinga, è la mamma di Riccardo Faggin, il ventiseienne di Abano morto in un incidente stradale alla vigilia della laurea inesistente. Con il dramma è emerso il mondo parallelo che si era costruito questo giovane studente in crisi.
Aveva passato solo una manciata di esami ma aveva raccontato a casa di essere giunto alla fine del percorso.
E la famiglia, come molte altre famiglie, aveva prenotato il ristorante, organizzato il viaggio regalo, appeso i fiocchi rossi alla ringhiera del cortile.
Signora, lei parla di senso di colpa. Ma, in fin dei conti, tutti provano a spronare i propri figli.
«Semplicemente lo vedevamo un po’ fermo. Lo riprendevamo perché si muovesse con questa benedetta laurea. Adesso ci chiediamo se, magari, l’abbiamo aggredito troppo».
Oltre al lutto, anche la scoperta dell’inganno. Come state reagendo?
«Vorrei lanciare un appello ai giovani: se avete qualche problema, confrontatevi con i genitori. Per qualsiasi cosa, per una piccola bugia, parlatene. Tirate fuori ciò che avete dentro, altrimenti si creano muri impossibili da scavalcare. Ma vorrei lanciare anche un appello ai genitori».
Prego.
«Se i figli vi raccontano qualche bugia, non dico di perdonarli subito ma di provare a comprenderli. E di cercare di captare segnali, anche dalle piccole cose. Adesso penso e ripenso a qualche particolare, a cui non davamo peso.
Ci sembrava che Riccardo avesse soltanto qualche giornata strana, magari solo le scatole girate. Invece aveva indossato una maschera e noi non ce ne siamo mai accorti».
Del resto, il refrain è noto: non esiste un libretto di istruzioni per fare i genitori.
«Certo, ma è una cosa che mi sento di dire ora, in questo momento. Spero possa servire ad altri a non fare questi errori. Salvatevi da tutto questo dolore».
C’erano stati molti scontri tra voi in questo ultimo periodo?
«Noi ci eravamo accorti che non si dava da fare ma adesso, di fronte a questo baratro mi chiedo: quanto ha sofferto mio figlio? Lui non voleva deludere noi.
Se solo ce lo avesse detto, avremmo provato ad aiutarlo. Non l’avremmo punito, non siamo aggressivi. Forse avremmo litigato ma poi saremmo andati avanti dandogli una pacca sulla spalla».
Secondo lei come si era infilato suo figlio in questo tunnel senza uscita?
«Riccardo si è trovato solo e non aveva nessuno con cui parlare. Se avesse avuto amicizie più salde, forse avrebbe trovato qualcuno con cui parlarne».
Come mai era rimasto solo?
«Quando finiscono le superiori capita che gli amici si perdano. All’università non era riuscito a stringere grandi legami. Poi è arrivata la pandemia, ed è rimasto sempre in casa con noi. Usciva molto poco.
A un certo punto aveva agganciato questi amici. Si ritrovavano in un bar di Montegrotto. Ma noi non li abbiamo mai conosciuti, non frequentavano casa nostra. Riccardo mi sembrava che ultimamente si stesse riprendendo, andava anche a giocare a tennis. Invece chissà cosa pensava, chissà come gli pesava questa situazione. Mi chiedo quanto avrebbe desiderato liberarsi di tutto».
Riccardo era iscritto a Scienze infermieristiche. Aveva scelto lui lo l’avevate convinto voi?
«Gli avevamo detto: fai quello che vuoi, quello che ti senti. Eravamo consapevoli del fatto che una materia deve piacere, per essere affrontata».
L’ultima volta che l’avete visto cosa vi ha detto?
«Ci ha detto: sono teso, vado a fare un giro al bar. Poi abbiamo scoperto che il bar era chiuso. Non sappiamo chi abbia visto, con chi sia stato. Stanno indagando».
Ha pensato all’eventualità che Riccardo volesse fare un incidente senza uccidersi, solo per avere una convalescenza e guadagnare tempo?
«Ci abbiamo pensato anche noi. Tutto può essere. Ma la verità è che è morto la notte prima che si scoprisse la sua bugia».
Vi aveva detto che sarebbe rientrato?
«Ci ha detto che sarebbe tornato verso le 23 ma alle 4 sono arrivati i vigili urbani ad avvisarci dell’incidente».
Come siete venuti a conoscenza della bugia sugli esami sostenuti?
«Al mattino abbiamo chiamato l’Università per informare che non sarebbe stato presente alla sessione di laurea per via dell’incidente.
In quel frangente ci hanno risposto che le discussioni di laurea erano state chiuse la settimana prima e che nostro figlio non c’era in quell’elenco di nomi. Vedremo: ora è tutto in mano ai carabinieri».