Calcio, Zeman a Trieste: «L’Unione? Potrei allenarla»
foto da Quotidiani locali
«Trieste? Gran bella città, con uno stadio altrettanto bello. Il mio amico Carmine Gautieri mi ha detto però che è una piazza esigente. Se ci fosse un progetto serio da parte della Triestina, potrei anche pensare di tornare ad allenare in quella che è stata la città che ha dato i natali ad una mia bisnonna: dopo oltre mille panchine io ancora voglia di divertirmi. E di divertire».
Compassato, flemmatico, con la battuta, tagliente, sempre pronta. Di sigarette (pare che da tre sia passato ad un pacchetto e mezzo al giorno) non ne ha potuta tirare fuori nemmeno una al Caffè San Marco, sede martedì pomeriggio della presentazione della sua autobiografia “La bellezza non ha prezzo” (Rizzoli, 18.50 euro), redatta assieme al vicedirettore della Gazzetta dello Sport, Andrea Di Caro. In compenso Zdeněk Zeman, il boemo più conosciuto del calcio italiano, ha intrattenuto il pubblico accorso per sentire un simbolo antisistema del calcio nazionale.
«Nei primi anni Novanta col mio Foggia abbiamo sempre vinto a Trieste (9 gol fatti, 0 subiti, a segno, tra gli altri, Signori, Stroppa e Di Biagio, ndr). Nonostante questo sono contento siate arrivato il vostro invito», ha esordito il 75enne tecnico nato a Praga.
Una Praga abbandonata a malincuore dopo la chiusura delle frontiere del primo luglio 1969. «Ho dovuto attendere la caduta del Muro di Berlino per tornare a casa mia e riabbracciare mio padre. Il comunismo? Non ci si è mai arrivati e non ci si arriverà mai. Erano solo tempi bui. Ti laureavi per poi andare a fare lo spazzino, se ti andava bene. Grazie ad intellettuali ed universitari l’allora Cecoslovacchia ha ritrovato la libertà».
L’esilio dalla sua Boemia permette al giovane Zeman di creare la sua seconda vita. In Italia. Dove conosce e sposa Chiara, ex nuotatrice siciliana. «A Palermo studiai all’Isef. Iniziai a fare l’allenatore di nuoto, pallamano, pallavolo. Ma lo sport più bello era il calcio. Iniziai ad applicare il 4-3-3, un modulo che avevo appreso a Praga ma che rispetto alla scuola danubiana volevo rendere più veloce, con maggiore ricerca di spazi e verticalizzazioni. Vedo tanti allenatori che iniziano con un modulo, poi perdono una partita e cambiano identità. Per preparare il gioco di una squadra ci vuole tempo ed applicazione. Non arrendersi subito».
Dopo varie giovanili, Zeman ottiene la possibilità di allenare una prima squadra: il Licata. Che ancora oggi viene ricordata come la sua squadra preferita e con cui vince un campionato di C2. Ma inevitabilmente è il Foggia il team che fa conoscere il tecnico in tutta Italia: nasce “Zemanlandia”.
«Baiano, Signori, Rambaudi ci portarono in serie A. Con l’aggiunta di Šalimov e Kolyvanov conquistammo l’anno successivo una salvezza insperata da tutti. Tranne che da me, perché conoscevo il valore di quei ragazzi».
Il calcio spettacolo di Zdeněk suscita l’interesse delle squadre della capitale. Prima la Lazio (dove ottiene un secondo posto, suo miglior piazzamento in A), poi la Roma. Allena tanti campioni. Gascoigne, Nesta, il connazionale Nedved in biancoceleste. Cafu, Aldair, Balbo in giallorosso. «Il migliore di tutti? Totti. Aveva occhi anche dietro la testa. È durato fino a 41 anni ma avrebbe potuto giocare ancora qualche anno se fosse andato d’accordo con il suo allenatore (Spalletti, ndr)».
La carriera di Zeman subisce uno spartiacque il 26 luglio 1998 quando a Predazzo, durante il ritiro della Roma, il tecnico lancia un allarme con parole che faranno storia. «Cosa serve per essere i migliori nel calcio del Duemila? Bastano due persone che oggi sono indispensabili: uno che sappia di farmaci e uno laureato in economia, molto furbo. Spero che il calcio esca dalle farmacie. E dagli uffici finanziari».
Venticinque anni dopo, il calcio tricolore si trova grossomodo nella stessa situazione?
«Ho dovuto ingaggiare diversi avvocati per difendermi da cose che erano vere. Purtroppo oggi il calcio è anche peggiorato. Si parla solo di business, ci sono regole diverse da quelle sportive. Un allenatore non conta nulla all’interno di un club. Non c’è più divertimento».
Le grandi società non si avvicineranno più (tranne un’altra parentesi con la Roma) a Zeman. Che però si ritaglierà le sue soddisfazioni. Il Lecce, secondo miglior attacco della serie A, con Bojinov e Vucinic. Il Pescara, promosso nella massima serie con 90 gol all’attivo, con i vari futuri campioni europei Immobile, Verratti e Insigne (vale la pena ricordare un 2-2 strappato in trasferta dalla Triestina in Coppa Italia con reti di Princivalli e Godeas e doppietta in rimonta di Insigne).
Zeman, nella serata di ieri, ha ricevuto al Rossetti il premio Eastern Star Award. In precedenza solamente un’altra personalità non cinematografica, Michail Gorbačëv, era stata insignita del premio istituito dal Trieste Film Festival-Alpe Adria Cinema. «Non posso paragonarmi certo a Gorbačëv – ha concluso Zeman – ma nello sport ho cercato di avvicinarmi il più possibile alla bellezza. Facendo divertire il pubblico. Perché questo è lo scopo del calcio. Un gioco che bisogna affrontare al meglio possibile, tatticamente, tecnicamente e fisicamente. Nello sport numero uno del mondo devi dare emozioni. Le mie squadre quando perdevano uscivano spesso tra gli applausi. Questa è la mia bellezza»