Tra scuola e Internet ricordare la Shoah è un’azione etica che serve il presente
foto da Quotidiani locali
TRIESTE. Il 27 gennaio non deve essere solo una data, ma una cosa viva. Per far sì che il ricordo sia resistenza, il personale diventi collettivo e la memoria si faccia viatico per le generazioni future, deve crearsi un circolo virtuoso tra la ricerca degli storici, l’esperienza diretta dei memoriali e lo stimolo che le giovani generazioni ricevono dalle scuole. Secondo Dunja Nanut, insegnante al liceo Prešeren, «la Giornata della Memoria entra in profondità nei giovani solo se è il risultato di una preparazione che dura tutto l’anno, altrimenti c’è il rischio che non si crei la giusta sensibilità». Il ruolo delle famiglie è fondamentale perché gli insegnanti, dice Nanut, «capiscono subito se è un tema di cui si è già parlato a casa, e per il quale soprattutto i più piccoli dimostrano grande curiosità».
Dunja Nanut
L’attenzione che sulla Shoà negli ultimi anni hanno dimostrato i programmi ministeriali è servita anche da spinta per le visite alla Risiera, dove non sono poche le scolaresche che uniscono la tappa triestina alla visita al campo di concentramento di Mauthausen. Nanut è presidente della sezione di Trieste dell’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, che sta per pubblicare l’opuscolo “Rosalia Poropat sui binari d’Europa”. Vi è riportata l’intervista fatta nel 2002 da Nanut a una donna triestina rinchiusa prima ad Auschwitz e poi Ravensbruck. «Se n’è occupata Michelle Visintini, che quando frequentava il liceo Petrarca aveva fatto un tirocinio presso l’Aned – spiega Nanut – ed è la pronipote di Rosalia Poropat, di cui ha ricostruito la storia famigliare attraverso i racconti e i documenti che ha trovato in casa».
Trieste è un luogo che scoppia di memorie, si confrontano la memoria dello sterminio e quella del confine, memorie che a volte entrano in conflitto. Di troppa memoria si può soffocare?
«La retorica sul dovere della memoria è diventata insopportabile», dice senza peli sulla lingua Daniele Jalla, storico, già direttore dei Musei civici di Torino, che ha partecipato alla realizzazione del Museo diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra e dei Diritti e delle Libertà di Torino.
Daniele Jalla
«La memoria o c’è o non c’è - continua Jalla , fa parte della formazione di un individuo sapere cosa è successo prima e non vivere nel suo tempo come se fosse l’unico. È necessario conoscere, ma non c’è nessun dovere morale a ricordare». «C’è - aggiunge Jalla - un principio etico nella memoria, ma gli eccessi producono spesso risultati opposti. Se la memoria diventa un dovere perde la sua vitalità. È compito di una società civile far sì che l’oblio non cada tendenzialmente su nulla, ma anche lasciare liberi su quale memoria scegliere». «Ma quando parliamo di deportazione e sterminio - insiste lo storico - affrontiamo qualcosa di diverso, sono cose che dobbiamo conoscere per fare delle considerazioni sulle condizioni etiche dell’umanità. È più consapevolezza che memoria». Jalla, che ha insegnato museologia, spiega come fare per rendere i memoriali un’esperienza non retorica: «Intanto - spiega - conoscere il senso dei luoghi significa essere più sicuri nella vita perché si interpreta quello che ci circonda. La Risiera di San Sabba è un’evocazione. Quando il visitatore entra e passa in mezzo alle due pareti di cemento armato prova un senso di oppressione e rivive lo smarrimento dei deportati» Della Risiera si occupa anche la nuova generazione di storici, che anche grazie ai grandi portali on line, come l’European Holocaust research infrastructure, che contiene memorie, foto, video e documenti, o ad archivi come il Fortunoff archive di Yale, ha a disposizione nuovi strumenti sui quali lavorare.
Tullia Catalan
«Uno dei nuovi filoni di ricerca - spiega Tullia Catalan, docente di Storia contemporanea all’Università di Trieste -, riguarda le modalità attraverso le quali avveniva il fenomeno del sequestro e della confisca dei beni degli ebrei». «Un altro - aggiunge Catalan- prende in esame la Risiera all’interno del circuito della Shoah». Risiera che non è ancora molto conosciuta all’estero, anche se il suo prossimo inserimento all’interno del percorso della memoria dell’Holocaust museum di Washington potrà dare al monumento nazionale di San Sabba un maggiore rilievo internazionale.
«Personalmente - prosegue Catalan - sto seguendo la tesi di dottorato di Paolo Felluga, che si occupa delle pratiche di sequestro dei beni degli ebrei e da cui emerge che il meccanismo messo in atto dai nazisti a Trieste si discosta da quelli nel resto d’Italia: i sequestri avvenivano senza mediatori, e ricalcano piuttosto il modello di quanto avveniva in Europa Orientale». Un altro ambito di indagine riguarda infine la rete migratoria degli ebrei che in tempi diversi arrivavano a Trieste scappando da Germania, Austria e Jugoslavia per raggiungere, attraverso il nostro porto, la salvezza.