Le lacrime di Vegni, il direttore del Giro ricorda Cainero: «Ciao amico mio, eri l’uomo delle sfide»
UDINE. Non riesce a trattenere le lacrime. «L’avevo sentito pochi giorni fa, era combattivo con tanta voglia di riprendersi. Ci eravamo ripromessi di ritrovarci sul Lussari...». Non ce la fa a proseguire Mauro Vegni, il direttore del Giro d’Italia, uno dei più grandi amici di Enzo Cainero. Un’amicizia nata sulle strade del Giro negli ultimi vent’anni. Forte. «Ho pianto nella mia vita solo per la morte dei miei genitori... ora lo faccio per Enzo».
Direttore, Giro d’Italia in Friuli vuole dire Cainero...
«E lo credo. In questo momento è molto difficile parlare per me. Sicuramente ci ha lasciato una persona unica a cui sono legato da tanti bei ricordi, tante scommesse fatte. L’ultima sarà quella del Lussari. Enzo era un friulano vero che si faceva amare che ha lavorato tanto per sua terra per fare vedere che gente è quella friulana. Ci mancherà al di là di quelle che sono le parole che non possono descrivere un sentimento profondo che ci legava».
Sembrava potersi riprendere...
«Glie l’avevo detto: Enzo è lunga, anche a me è capitata una cosa simile, fatti coraggio, ma l’avevano sentito combattivo. La sua morte è stata per me e per tutta la grande famiglia del Giro d’Itali, che ha per lui un’ammirazione smisurata, un fulmine a ciel sereno».
C’è una parola che vuole legare a Cainero?
«Sfida. Ne ho conosciuti tanti di organizzatori in questi anni, lui era diverso. Amava la sfida, viveva di sfide, chiaramente anche collegate a quella che era la passione per la sua terra. Non faceva le cose normali, voleva far vedere che si poteva osare di più con la passione, con la forza di andare avanti».
E lei lo assecondava...
«E come potevi dirgli di no? Lui era una sorta di polizza vita, lo guardavi e pensavi: no, Enzo non mi potrà tradire, lui no. Era un amico al quale tu ti affidi. Dire che la sua morte mi addolora è poco, anche se vivevamo a 400 km di distanza eravamo molto uniti».
Il Lussari sarà ora la tappa per onorarlo.
«Mi vengono già i brividi. Questa tappa avrà un doppio significato. Me lo immaginavo già sulla moto guidata da grande Edy Orioli fare un’ultima ispezione al percorso. Mi creda, faccio fatica ad andare avanti senza commuovermi».
Avete mai litigato?
«Non scherzi nemmeno. Mai e poi mai: trovavamo sempre una soluzione in amicizia».
La tappa più bella?
«Il primo Zoncolan, da Ovaro, nel 2007. Quel giorno cominciammo a mettere a frutto idee nuove come il pit stop per le ammiraglie, idee che hanno cambiato il modo di organizzare le tappe. Non c’è nulla da fare: alla fine Enzo avevi sempre ragione: ora te lo posso anche dire».
Però quando le propose la partenza dal Giappone lo prese un po’ per pazzo, vero?
«Macché, mi portò anche là, ci andammo vicinissimi a farla quella partenza».
E il Crostis mancato?
«Non se ne dava pace, ogni tanto ci riprovava e magari ci sarebbe anche riuscito, conoscendolo. Ciao amico mio». —
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