Scandalo documenti classificati: le misteriose note manoscritte di Biden
Restano accesi i riflettori sullo scandalo dei documenti classificati di Joe Biden. E cresce l'attenzione sui suoi appunti manoscritti. Mercoledì, l’Fbi ha perquisito l'abitazione del presidente a Rehoboth Beach in Delaware. Il suo avvocato, Bob Bauer, ha riferito che non sono stati trovati incartamenti classificati, specificando tuttavia che gli agenti federali hanno preso possesso di materiale e note scritte a mano, risalenti a quando Biden serviva come vicepresidente nell’amministrazione Obama. Ricordiamo che, lo scorso 20 gennaio, l’Fbi aveva perquisito l’altra casa privata del presidente in Delaware, quella di Wilmington, e che, oltre ad alcuni documenti ufficialmente classificati, anche in quel caso erano stati sequestrati degli appunti manoscritti.
Una circostanza che alimenta dubbi. Pur non risultando formalmente classificate, tali note scritte a mano potrebbero essere considerate tali, qualora contenessero delle informazioni sensibili. A sottolinearlo fu Nbc News sabato scorso, citando “una persona a conoscenza delle indagini”. “I taccuini”, riportò la testata, “sono stati sequestrati perché le note di Biden su alcune pagine si riferiscono alla sua attività ufficiale come vicepresidente, compresi i dettagli dei suoi impegni diplomatici durante l'amministrazione Obama, e potrebbero fare riferimento a informazioni riservate, ha detto la stessa persona, aggiungendo che i taccuini non recano contrassegni classificati, ma alcune delle note manoscritte al loro interno potrebbero essere considerate tali dato il loro contenuto sensibile”. Non si può quindi escludere che il materiale sequestrato mercoledì nella casa di Rehoboth Beach sia considerabile come classificato de facto. D’altronde, se i federali lo hanno sequestrato, vuol dire che almeno il sospetto di una simile eventualità c’è.
Ma non è tutto. Lunedì, Cbs News ha rivelato che, a metà dello scorso novembre, l’Fbi avrebbe perquisito anche l’ex ufficio di Biden a Washington: quell’ufficio in cui, il 2 novembre, gli avvocati di Biden avevano trovato la prima tranche di documenti classificati indebitamente trattenuti. Ricordiamo che quel locale appartiene al Penn Biden Center: think tank che fa capo all’Università della Pennsylvania, nota per aver ricevuto oltre 77 milioni di dollari dalla Repubblica popolare cinese a partire dal 2014. Non a caso, la commissione Sorveglianza della Camera sta indagando per capire se tale think tank abbia subito delle infiltrazioni straniere (visti anche gli opachi affari che, nel recente passato, il figlio di Biden, Hunter, ha condotto con entità cinesi). Quello che lascia perplessi è per quale ragione questa prima perquisizione non sia stata resa nota dal team legale del presidente e dal Dipartimento di Giustizia. Una circostanza, questa, che aggrava l’opacità con cui la Casa Bianca sta gestendo questo scandalo. Una circostanza che, soprattutto, pone delle domande. Per caso l’Fbi trovò ulteriore materiale classificato in quell’ufficio? Se sì, di che materiale si tratta? Ha a che fare con rischi per la sicurezza nazionale?
Purtroppo, nonostante avesse inizialmente promesso il contrario, l’amministrazione Biden continua a difettare di trasparenza. Mercoledì, il portavoce della Casa Bianca, Ian Sams, si è rifiutato di rendere noto se le ricerca di documenti classificati possa dirsi conclusa o meno. Dall’altra parte, è pur vero che le perquisizioni dell’Fbi avvenute finora hanno avuto luogo in accordo con il team legale di Biden. Tuttavia va anche ricordato che tali perquisizioni si sono verificate dopo che gli avvocati del presidente avevano detto di aver già setacciato quei luoghi: è capitato nel caso di Rehoboth Beach, in quello di Wilmington e in quello dell’ufficio di Washington. Segno che, forse, gli inquirenti non si fidano molto di come i legali di Biden abbiano effettuato le loro ricerche. Senza contare che il presidente ha trascorso proprio nella sua dimora di Rehoboth Beach il penultimo weekend di gennaio. Infine, non è escludibile che l’indagine possa adesso subire un’accelerazione, visto che, proprio mercoledì, è entrato a tutti gli effetti in carica il procuratore speciale, Robert Hur, nominato dal Dipartimento di Giustizia lo scorso 12 gennaio. Lo scandalo dei documenti classificati, insomma, non si placa, E rischia di diventare sempre di più una spada di Damocle su un Biden che, a giorni, dovrebbe annunciare una ricandidatura presidenziale.