Frutta padovana, aumenta la produzione, ma raddoppiano i costi
foto da Quotidiani locali
Per la frutta padovana il 2022 è stato una buona annata, almeno sul fronte della produzione, in netta ripresa nonostante gli insetti alieni e il meteo avverso. Riprendono quota mele, pere, pesche, albicocche, kiwi, ciliegie e altri frutti, coltivati in oltre 900 ettari della provincia, in particolare tra la Bassa e i Colli Euganei.
Le rese sono tutte con il segno positivo e la produzione schizza a +70% per le mele, addirittura + 400% per le pere e + 600% per le pesche e nettarine, +300% per i kiwi e +52% per le ciliegie, come certifica il recente rapporto di Veneto Agricoltura. Ma la guerra in Ucraina e i rincari energetici spingono i costi correnti per la produzione della frutta e della verdura italiane che arrivano anche a raddoppiare (fino a +119%) con un impatto traumatico sulle aziende agricole. Emerge dall’analisi di Coldiretti su dati Crea divulgata a Fruit Logistica di Berlino, la principale fiera internazionale di settore dove è presente insieme alla delegazione padovana anche il presidente di Coldiretti Padova Massimo Bressan per incontrare gli operatori.
«Dopo anni drammatici, la frutta padovana è in decisa ripresa, anche se le superfici sono in calo in qualche caso» commenta Bressan «ma la maggioranza delle aziende ha tenuto duro negli anni difficilissimi segnati dagli attacchi della cimice asiatica e dagli effetti della pandemia. Ora il settore sta recuperando il terreno perduto ma deve fare i conti con l’impennata dei costi di produzione che ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale, dal riscaldamento delle serre ai carburanti per la movimentazione dei macchinari, dalle materie prime ai fertilizzanti, con spese più che raddoppiate, fino agli imballaggi. Gli incrementi non hanno risparmiato neppure la plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato come il legno per le cassette, mentre si allungano anche i tempi di consegna. Aumenti che sono stati per la maggior parte assorbiti dalle imprese agricole stesse, a fronte però di ulteriori sacrifici, tanto che quasi un produttore su cinque è stimato che abbia lavorato in perdita».
Ma a pesare è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere - continua Coldiretti - con l’ortofrutta Made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro.
Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese - rivela Coldiretti -, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finché non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché – spiega la Coldiretti - i cinesi affrontano un dossier alla volta. Porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico.
«Alle barriere commerciali si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale» aggiunge Bressan «con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea».