Deportato dai partigiani titini: il riconoscimento di Mattarella
foto da Quotidiani locali
Come tanti altri nei giorni bui della storia del confine orientale dovette lasciare la sua famiglia, la sua città, le sue cose, prelevato dalla casa dove non avrebbe fatto più ritorno. E di lui non si seppe più nulla.
La vicenda di Aristide Fedon è quella di tutti coloro che vissero il dramma della deportazione, quello ricordato ieri in Prefettura con la consegna della medaglia e del diploma conferiti dal Presidente della Repubblica ad Alessandro Fedon, il nipote di Aristide, in sua memoria.
Originario di Fiumicello, Fedon viveva a Gorizia all’angolo tra via Roma e via Oberdan, proprio di fronte a quel palazzo del Governo che ieri l’ha omaggiato. Era stato ufficiale degli Alpini, e tra le penne nere aveva affrontato le campagne di Grecia e Albania, mentre a Gorizia lavorava come funzionario del Comune. Fu catturato dai partigiani jugoslavi il 3 maggio 1945 e deportato, e da quel momento la famiglia non ebbe più sue notizie. Mai però Aristide uscì dai cuori dei suoi cari, e non è un caso che il fratello di Alessandro, arbitro internazionale di hockey scomparso prematuramente in un incidente stradale nel 2005, portasse lo stesso nome. «Ricordo che ero un bambino curioso – ha raccontato il nipote di Aristide, Alessandro Fedon –, e chiedevo spesso al nonno di dirmi dello zio. Lui stesso, ingegnere che lavorava ai cantieri di Monfalcone, riuscì a salvarsi solo perché scappò avvertito da conoscenti dell’arrivo dei partigiani, rifugiandosi in Brasile». Bello poi il pensiero con il quale Fedon ha deciso di chiudere il suo ricordo. «Oltre a mio zio, vorrei onorare la memoria di tutti i caduti, di tutte le nazioni, guardando al futuro con un abbraccio di fratellanza che deve essere proprio anche del prossimo appuntamento di Go!2025», ha detto. E lo stesso pensiero ha accomunato gli interventi delle tante autorità intervenute assieme al prefetto Raffaele Ricciardi.
Con il questore Paolo Gropuzzo c’erano i rappresentanti delle forze dell’ordine, l’assessore regionale Sebastiano Callari e poi il sindaco Rodolfo Ziberna e l’ex deputato Guido Germano Pettarin, la presidente dell’Anvdg Maria Grazia Ziberna e Walter Bandelj e Marino Marsic in rappresentanza di Sso e Skgz, e della comunità della minoranza slovena tutta. Presenze significative, come ha sottolineato Ricciardi, spiegando che «i morti sono morti, senza distinzioni, e dobbiamo piangerli tutti assieme, in uno spirito che va rinnovato sempre e non solo in occasione del Giorno del Ricordo». «La storia va insegnata e non taciuta, ma non per punire i colpevoli, quanto per evitare che si ripeta, e per lavorare in un futuro di amicizia», ha detto Rodolfo Ziberna, mentre la sorella Maria Grazia ha spiegato che «se forse non ci potrà mai essere una memoria condivisa, ci deve essere però rispetto delle memorie altrui e capacità di perdonare».