Tra scherzi e refoli chiusi dentro un barattolo la Bora porta a Trieste il suo Pesce d’aprile
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foto da Quotidiani locali
TRIESTE Quando la Bora soffia è un po’ come se fosse sempre il primo aprile, giornata di scherzi. Niente e nessuno sa scherzare più del vento che ribalta, scompiglia, spinge e confonde. Se tra i fenomeni meteorologici si organizzasse una gara di scherzi, dunque, il primo posto di certo se lo aggiudicherebbe il vento. Figuratevi a Trieste, dove la Bora non viene usata per produrre energia ma vanta sicuramente un curriculum di tutto rispetto sul fronte del morbin, la voglia di divertirsi. Per altro, ricordiamo che una delle teorie sull’origine del Pesce d’aprile porta proprio nella nostra regione: secondo un’antica vulgata il beato Bertrando di San Genesio, patriarca di Aquileia dal 1334 al 1350, avrebbe liberato miracolosamente un papa soffocato in gola da una spina di pesce; per gratitudine il pontefice avrebbe decretato che ad Aquileia, il primo aprile, non si mangiasse pesce...Bello scherzo.
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Ma torniamo al vento. Recentemente al Magazzino dei Venti di Trieste è venuta in visita una pensionata di Ancarano che ci ha raccontato di quella volta che le telefonarono dal Lido di Venezia per comunicarle che la barchetta del figlio, grazie al vento di est-nord-est, era arrivata fino a lì (!!). Bello scherzetto, no? E chissà se il nostro caro pontone Ursus, dopo la storica fuga del 2011 e quella più recente del settembre 2022 in cantiere (non per colpa della Bora), ci riserverà qualche nuova occasione d’ilarità? Jan Morris nella sua recensione sulla Literary Review dedicata al libro di Nick Hunt “Where the wild winds are“ (“Dove soffiano i venti selvaggi”, Neri Pozza, 2018) scrisse così: “Mi è sembrato che la Bora sia la più allegra di tutti i venti di Hunt, l'unica, forse, dotata di senso dell'umorismo.”
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Perciò quando la Bora soffia è un po’ come se fosse sempre il primo aprile. Lei non guarda il calendario, ma noi sì. Lo sapevate che l’idea del Museo della Bora è nata un po’ per gioco? Decidemmo di lanciarla esattamente il 1° aprile 1999, con la complicità della data e della Libreria Transalpina. Finimmo subito in prima pagina sul Piccolo, e fummo citati anche su altre testate nazionali. Esisteva già l’aria di Napoli, la buatta (dal francese boîte, scatola), esisteva già l’Air de Paris portata da Marcel Duchamp in un flacone di vetro a un suo amico e sostenitore di New York, oltre a tantissime altre arie turistiche in tutto il mondo. La “mia” Bora in scatola, invece, conteneva refoli vintage, del 1896, del 1902 e del 1954 quando la Bora arrivò a 171 km/h rompendo addirittura l’anemometro del Talassografico.
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Ma questo barattolo era troppo piccolo per contenere il vento e il suo immaginario. Così da questa idea nacquero il progetto del museo e l’Associazione culturale Museo della Bora, coinvolgendo un gruppo di cari amici. Il primo aprile 2011, su suggerimento dell’amica Nicoletta Benvenuti, su Facebook lanciammo un demenziale corso intitolato “Boraterapia” che proponeva un ricco programma di attività, dalla “Respirazione refolica – Approfondimenti a naso” ai “Percorsi interiori controvento”, dalla “Banderuologia-Sessioni di conformismo” alle “Istruzioni per affrontare il giro d’aria”, senza dimenticare focus tipo “Spostare i cassonetti con la mente” o porre rimedio ai “Colpi di testa-PostCoppo”; non mancavano i “Bagni d’aria per uomini e donne (separati, da un muro)” e il “Massaggio d’Eolo per ritrovare l’E.N.E.rgia pura”! Il corso raccolse 48 adesioni e molti commenti divertenti. Tra i tanti mi piace ricordare quello di Corrado Premuda che ci scrisse: «Quanto costa? Ma è una roba seria? Non vorrei buttare i soldi al vento…». Gli rispondemmo così: «Solo bonifici, niente contanti!».
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Alla mostra “Che mare, che Bora” al Palazzo Gopcevich, sempre nel 2011, esponemmo geniali fotomontaggi creati da Guido Pezzolato così ben fatti che parevano veri. Li appendemmo mischiandoli ai quadretti che contenevano le cronache del Piccolo dedicate al potente e drammatico episodio del 1954. Tra i visitatori curiosi c’era chi poneva domande del tipo: «Ti che te abitavi vizin le rive, te se ricordi el Borascafo?». «E la Borarimessa?». Ci cascarono in molti! —
*direttore del Museo della Bora di Trieste