A Udine torna a splendere la palazzina Masieri, ispirata a Le Corbusier
«Come un giovane antico»: così Carlo Ludovico Ragghianti ricordava Angelo Masieri, con la consapevolezza del sentimento classico che vuole i giovani prematuramente scomparsi particolarmente cari agli dei.
E nelle testimonianze di coloro che ne ricordavano doti e passione, si rispecchiava una intera generazione, quella che vissuto la stagione irripetibile del miracolo italiano, a contatto con i corifei dell’architettura moderna.
A Udine che Ernesto Nathan Rogers definiva la “meno provinciale” delle piccole città, l’opera di Masieri si è ritagliata uno spazio particolare, nel quale si condensano la generosa vitalità e i segni di una autonomia espressiva, nella quale la lezione dei maestri a lui cari, Frank Lloyd Wright e Carlo Scarpa, si somma alla sapienza nell’uso dei materiali e della costruzione.
Tanto più gradito allora il recupero della palazzina Masieri in viale Duodo (1949-1950) acquistata da Inter-Rail, la società di logistica partecipata in quote uguali da Fantoni e Abs del gruppo Danieli che vi ha insediato il proprio quartier generale.
L’attento e puntuale «risanamento conservativo» curato da Piero Valle restituisce alla città un’opera che era abbandonata da tempo e presentava numerosi problemi, riferibili in particolare agli elementi determinanti per la qualità architettonica, come i serramenti e le ampie vetrate.
Nella palazzina Masieri il progettista più che alla Musa wrightiana ha guardato a Le Corbusier e ora che sono state tolte le griglie esterne che mascheravano le vetrine, sono visibili i pilotis che conformi ai Cinque Punti, sono arretrati a dichiarare che la muratura perimetrale non è portante e la pianta si sviluppa libera.
L’intervento ha riunito il piano terreno, prima suddiviso in tre negozi, in un unico e luminoso open space, come previsto da Masieri. L’apertura rettangolare del primo piano dove si trova l’abitazione riecheggia Ville Savoye, anche se il volume scatolare di quest’ultima viene ricomposto con soluzioni che ricordano il neoplasticismo.
In una personalissima rilettura del curtain wall Masieri ne inverte la posizione e lo fa arretrare rispetto al filo della parete del primo piano che in un riuscito paradosso statico, galleggia sul sottostante continuum vetrato e poggia sul setto ortogonale che divide le due porte di ingresso, per gli uffici (piano terra) e l’abitazione (primo piano). Il riuscito equilibrio tra la tutela architettonica e l’adeguamento dello stesso ai requisiti di riqualificazione energetica ed acustica prescritti per ambienti direzionali ha il suo epicentro nei serramenti, che determinano l’immagine dell’edificio.
La sostituzione ha conservato le specchiature, l’originale cromatismo grigio antracite su viale Duodo e via Gaeta e il rosso cardinale delle finestre a nastro sul cortile interno, ma soprattutto gli spessori sono stati riproposti senza tradire la originaria leggerezza.
Tra la fascia continua dei sopraluci e le vetrine con gli esili montanti verticali corre una fascia divisoria che funge da cesura all’esterno, mentre all’interno si configurava come mensola che diventa infine il pannello di chiusura della bussola d’ingresso, nella quale è stato inserito il pregevole “carabottino” ligneo originario.
Nel luminoso open space dove sono collocate le postazioni di lavoro (tutto design Fantoni Osoppo) non si notano cavi o altri impianti, occultati nel pavimento flottante oppure nel controsoffitto.
A dimostrazione che la riqualificazione energetica non comporta necessariamente stravolgimenti che finiscono per fornire un cattivo se non pessimo servizio all’architettura, la sostituzione del vecchio impianto termico si è realizzata senza interferenze esterne, dato che i pannelli fotovoltaici sono mascherati dalle quinte murarie della terrazza su viale Duodo.
Un primo motivo di soddisfazione per questo intervento è che quando la cultura progettuale e una committenza che ha a cuore la qualità architettonica trovano un punto di convergenza, si consegue un importante obiettivo, la rinascita di un edificio di grande pregio che viene restituito alla città.
Un ruolo importante lo hanno svolto le imprese che hanno partecipato ai lavori, tutte del territorio (Minozzi di Povoletto per l’edilizia, Cadò di Udine per gli impianti termoidraulici, Cime di Buja per quelli elettrici, Sereti di San Giorgio di Nogaro per i serramenti e Fantoni di Osoppo per i mobili da ufficio) a conferma che, come nei cantieri delle cattedrali gotiche era la maestria degli artigiani della città a concorrere alla realizzazione.
E questo risanamento che ha valenza di restauro induce all’ottimismo, ovvero che a seguito della proprietà imitativa, altri esempi possano seguire, cosicché evitando superfetazioni o egocentricismi interpretativi, sia l’edificio stesso a parlarci.
Se il restauro degli immobili storici ha linee guida e normative consolidate, quando si tratta di architetture del Moderno, dove materiali e tecniche pongono problemi complessi, le proposte divergono, pertanto la rinata palazzina Masieri offre molteplici spunti e si può inserire tra quegli esempi di “Good Practices” che Docomomo propone quali l’edificio De Angeli Frua a Milano (1946), il Palazzo del Mezzogiorno a Bari (1950) la Cartiera Burgo (1961).