Suo padre fra i fondatori del Sincrotrone, Rosei torna a Trieste per formare nuove leve di scienziati
foto da Quotidiani locali
TRIESTE «Non si può dire che io non fossi un predestinato: sono figlio d’arte, mio nonno materno, come mio padre, era professore di fisica, i miei zii e zie docenti universitari, ho avuto tre nonni laureati su quattro e un bisnonno ingegnere. È come se alla nascita avessi ricevuto il biglietto vincente di una lotteria: per una questione genetica, ma anche per l’ambiente in cui sono vissuto, internazionale e incredibilmente stimolante».
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Federico Rosei è il figlio di Renzo, uno dei fondatori di Elettra Sincrotrone. Romano di nascita e triestino nell’adolescenza (ha frequentato il liceo Dante prima e il Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico poi), il docente e ricercatore, oggi 50enne, ha vissuto buona parte della sua vita al di là dell’oceano, nel freddo e pacifico Canada. Di lui colpisce subito la schietta sincerità, la consapevolezza dei privilegi che la nascita gli ha regalato e il desiderio di metterli a disposizione di chi, in quella grande lotteria che è la vita, è stato meno fortunato di lui. Un grado di empatia fuori dal comune e un eclettismo che, nei suoi anni giovanili, lo ha visto cimentarsi anche nella stesura di un romanzo, “La strada non percorsa”.
Specializzatosi in scienza e ingegneria dei materiali e nanotecnologie, Rosei ha vinto una numero incredibile di premi internazionali, ha formato più di 200 giovani in 20 anni e ha tenuto lezioni in 50 diversi Paesi. È cattedra Unesco per i materiali e le tecnologie per la conversione dell’energia, di recente gli è stato conferito il premio “Spirit of Salam” dell’Ictp per il suo impegno scientifico e didattico internazionale e da inizio marzo è rientrato in Italia, con una cattedra al Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche dell'Università di Trieste dopo una lunghissima permanenza all'Institut National Recherche Scientifique di Montréal.
Ha vissuto fin da ragazzo in un ambiente internazionale. Cosa le hanno dato gli anni al Collegio del Mondo Unito di Duino?
«Sono nato a Roma, ma nei primi anni di vita ho vissuto anche negli Stati Uniti. E sono cresciuto bilingue, un grande dono che mi hanno fatto i miei genitori. Quando avevo 10 anni siamo arrivati a Trieste perché mio padre, con il professor Fonda, aveva avuto l’idea di costruire qui un Sincrotrone: fu il periodo in cui nacque Elettra. Io frequentai prima la scuola internazionale, quindi il liceo Dante. Ma avevo ancora voglia di esperienze internazionali: vinsi il bando per entrare al Collegio del Mondo Unito e ci passai un biennio, che mi influenzò profondamente. Crescere insieme a 200 coetanei da 80 diversi Paesi mi consentì di conoscere ragazzi che in casa non avevano neppure l’acqua: il loro ricordo mi accompagna sempre».
La sua carriera si è giocata tutta al di fuori dell'Italia. Perché ha scelto proprio il Canada?
«A metà del mio percorso universitario romano decisi che me ne sarei andato: mi aveva influenzato il film “Mediterraneo”, un inno alla fuga. Completai gli studi di dottorato, quindi partii per un post doc in Danimarca. Avevo mandato domande a destra e a manca. Provai anche a Montréal, avevo conosciuto una ragazza che viveva lì. Ebbi quel posto e mi trasferii: per molto tempo lì mi sono sentito a casa. Il clima, è vero, è quello che è, ma la natura è strabiliante ed è un Paese piuttosto sicuro, che ha tanto da offrire».
Come mai il rientro in Italia?
«Per stare vicino ai miei genitori, che stanno invecchiando: sono figlio unico e loro non volevano trasferirsi in Canada. Ha presente quel proverbio di Maometto e della montagna? Così sono rientrato a Trieste: grazie a una chiamata diretta ho avuto una cattedra al dipartimento di Scienze chimiche. Ora vedremo come andrà: non è banale riabituarsi al sistema italiano e in Canada ho lasciato il mio laboratorio e il mio gruppo di ricerca, che spero di ricostituire qui, magari grazie alle opportunità del Pnrr».
Scienza dei materiali e nanotecnologie, quali sono i filoni di ricerca più promettenti?
«Da quando mi sono reso conto che tra le sfide più grosse per la sopravvivenza dell’umanità ci sono quella dell’energia e dei cambiamenti climatici, ho deciso di proseguire con la ricerca fondamentale in quest’ambito. Mi sono sempre occupato di comprendere come la struttura di un materiale ne influenzi le proprietà: il mio compito primario però è quello di sviluppare prodotti umani. Lavoro su materiali innovativi per le tecnologie solari, lo stoccaggio di energia, la sostenibilità, orientando le attività anche in direzioni applicative per formare nuove generazioni di scienziati».
Ha vinto il premio "Spirit of Salam" 2023. La scienza riesce davvero a oltrepassare i confini?
«Ho viaggiato tanto in questi anni perché volevo interagire con scienziati e studenti di tutto il mondo: ho tenuto lezioni in 50 paesi diversi. La scienza è senza frontiere se ci sono già conoscenze di base che consentono di trasmetterla. E quando accade, nei miei viaggi scientifici in paesi come il Centro o Sud America, l’Africa, l’Asia, trovo un entusiasmo e una gratitudine unici».
Ha scritto il saggio "Survival Skills For Scientists”, quali sono a suo parere le competenze indispensabili per uno scienziato?
«Ci sono competenze che all’università spesso non vengono insegnate, eppure sono fondamentali: è importante sapere come presentare il proprio lavoro, come scrivere un progetto di ricerca, come fare un colloquio. Il libro è il risultato di un corso dallo stesso titolo che a Montréal, e non solo, ha ricevuto un grande riscontro».