La locanda Devetak ai margini d’Europa e al centro di due culture
Non sono molte, ovvio, le osterie con una storia lunga un secolo e mezzo. Nel caso di Devetak, tuttavia, le radici si spingono indietro nel tempo ancora più lontano. Il locale di San Michele del Carso ha raggiunto l’importante traguardo dei centocinquant’anni nel 2020. Quest’anno dunque di candeline ne spegne 153. Al 1870 risale un documento che lo nomina. Con tutta probabilità, però, la sua nascita è ancora antecedente. La sua affascinante vicenda è paradigmatica dell’area di confine, traversando tutto il ‘900 con le sue complessità e le sue contraddizioni.
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A raccontarla esce oggi un libro scritto da Enrico Maria Milič che s’intitola “La locanda ai margini d’Europa” (Bottega Errante Edizioni, pagg. 232, euro 17). Giovedì, alle 18, alla libreria Lovat, sarà presentato dall’autore in dialogo con la direttrice del Piccolo, Roberta Giani.
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La sua lettura permette di andare ben oltre a questa o quella prelibatezza gastronomica. La storia della locanda non somiglia neppure lontanamente a un trattato di cucina. Consente invece, grazie alle vicende di quella che era una semplicissima osteria, di tracciare uno spaccato delle vicissitudini attraversate della zona di confine. Al territorio dove Devetak ha sede, Giuseppe Ungaretti dedicò alcune delle sue poesie più celebri.
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La Grande Guerra è infatti ben presente nel lavoro di Milič che muove i primi passi da un autentico patriarca, “Ivan il vecchio”, il pioniere di questa avventura. Che non era uno chef stellato, ma di mestiere era šuster, una parola del dialetto sloveno derivata dal tedesco schuster: insomma, faceva il calzolaio. Ivan voleva rendere l’attesa dei propri clienti meno pesante offrendo loro un bicchiere di vino, un pezzo di pane, una fetta di salame. Ecco, tutto è nato così. E va avanti a lungo. Almeno fino a quando irrompe il primo conflitto mondiale che stravolge ogni cosa e costringe molti paesani all’esilio forzato nei campi profughi, tra cui quello di Bruck an Bruck an der Leith, a centinaia di chilometri di distanza.
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Alla stessa maniera, la famiglia e il suo locale traversano fascismo e Resistenza. Ma ce la fanno. Non a caso, la loro attività è ancora fiorente, imperniata su una cucina verace, specchio di una ben precisa identità: quella del Carso, appunto.
Sono però il 1957 e 1963 che vedono i natali di Avguštin e di Gabriella Cottali, autentici protagonisti del libro che può anche definirsi una loro biografia. Lui, tra l’altro, vede la luce proprio nella casa di famiglia, dove vive tuttora. «È un periodo in cui italiani e sloveni tornano per così dire a frequentarsi - racconta Milič -. In altre parole, si allenta quel portato tragico, frutto delle violenze del passato, che avevano generato odio e diffidenza».
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È allora che i due, quand’erano adolescenti, si conoscono e cominciano a uscire assieme. Avguštin Devetak, all’inizio, non è attratto dalla ragazza, ma, alla fine, è la caparbietà di lei a prevalere. Al punto che Gabriella, nata a Brescia, ma di radici carsoline, per l’esattezza di San Martino, è ormai considerata una grande interprete dei piatti di quella terra, con presenze da anni nelle guide Michelin, Gambero Rosso, Slow Food e l’Espresso. La loro, quindi, non è solo una storia d’amore, ma l’incontro di due culture: quella italiana e quella slovena. La commozione di Avguštin, quindi, era assai prevedibile quel 26 ottobre del 2016: erano giunti a Doberdò i presidenti Sergio Mattarella e Borut Pahor per svelare il monumento ai caduti sloveni sul fronte dell’Isonzo tra il 1915 e il 1918, deponendo le corone di rito. E dov’erano andati a pranzare, per l’occasione? Da Devetak, naturalmente.
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Negli anni ’80 il locale diventa un pub. La specializzazione culinaria Gabriella la raggiunge più tardi rivisitando piatti come la šupeta di gallina, gli strucoli cotti, la šelinka, il brodo brustolà, il baccalà in bianco. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. L’evoluzione, del resto, prosegue ancora, dopo aver imparato la lingua di un Paese che per lei, di nazionalità italiana, non è il suo. Oggi, peraltro, la storia prosegue. E se Gabriella è ancora saldamente ai fornelli, sua figlia Sara, dopo aver lasciato da parte le ambizioni canore, sente il richiamo della tradizione e, come gli altri eredi Devetak, si trova a portar avanti il nome di quella che va considerata, nel territorio, una vera e propria istituzione. Sara si occupa di agricoltura nei campi dei suoi antenati, dove nascono quei prodotti che vengono serviti letteralmente a chilometro zero, nelle sale del ristorante. È lei la primogenita di Avguštin e Gabriella. La coppia ha altre tre figlie, Tatjana, Tjaša e Mihaela. Lavorano nell’osteria, tutte protagoniste di un capitolo di storia culturale, gastronomica, del territorio che ha tutte le intenzioni e le energie per andare avanti ancora a lungo.