Da Fiume a Zara, nei teatri dell’Adriatico Orientale il culto dell’arte della patria
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foto da Quotidiani locali
TRIESTE Tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso in Istria e Dalmazia erano molti i teatri che avevano al centro della propria attività la musica strumentale e vocale. Di questi teatri, tuttavia, la storia non era mai stata particolarmente indagata. Un mondo sommerso ma straordinariamente attivo, che vedeva al centro non solo i molti artisti, ma pure agenti e impresari, direttori teatrali, editori.
A colmare la lacuna arriva ora un volume monumentale, frutto della consultazione di archivi, musei e biblioteche, come nel caso del Museo teatrale Schmidl. Ne è autrice Cristina Scuderi, nata a Udine, docente di storia della musica al conservatorio Tartini, da tempo ricercatrice all’università di Graz nonché collaboratrice dell’ateneo friulano e della Statale di Milano. “Organizzare l'opera (1861-1918). Teatri dell’Adriatico Orientale” (Libreria Musicale Italiana, pagg. 554, euro 42) è il titolo del testo, che ha richiesto diversi anni di fatica.
L’obiettivo è esposto già nelle prime righe dell'Introduzione, è quello di «ricostruire il sistema organizzativo e tracciare la presenza dell'opera nei teatri che si affacciavano sulla costa dell’attuale Croazia nell’età immediatamente successiva alla costituzione della prima dieta dalmata sino al termine del primo conflitto mondiale».
Nel periodo e nell’area di riferimento erano otto, allora, i teatri per così dire dominanti: il Politeama Cescutti di Pola, l’Adamich e il Comunale di Fiume, il Nuovo di Zara, il Mazzoleni di Sebenico, il Bajamonti e il Nuovo di Spalato, il Bonda di Ragusa. Si trattava di teatri per i quali vale «un discorso condiviso, in quanto permeati di pratiche, procedure e consuetudini organizzative comuni, separate da realtà come quelle dell’entroterra di Zagabria, Osijek e Ljubljana».
A questi devono però aggiungersi altri teatri italiani molto piccoli sui quali la documentazione è a tutt’oggi piuttosto scarsa, ma che il testo non manca di citare: il Comunale di Parenzo, sede di poche serate di musica e canto, il Bonetti di Lussinpiccolo che non aveva gran dimestichezza con il mondo dell’opera, e, ancora, il teatro di Rovigno, dove la lirica vedeva le orchestre sistemate in platea davanti al palco. Sempre meglio di ciò che avveniva al Comunale di Albona e a Pisino, dove l’opera risultava praticamente assente, come del resto al teatro Sociale di Capodistria, al Biondi di Lesina e al Teatro di Makarska.
Inoltre, a non rendere oggettiva la bibliografia a disposizione fino ai giorni nostri c’erano testi che parlavano di «avversità verso l’elemento slavo» che, per esempio, «era già palese nella comunicazione anonima del 1932 trovata tra le carte del Teatro Verdi di Zara». Più nel dettaglio: «A Zara il Teatro Sociale Giuseppe Verdi sarebbe sorto “negli oscuri tempi della dominazione straniera”, quale tempio sacro al culto dell’arte e della patria, e “lottò in loro nome per oltre mezzo secolo con la barbarie slava che, delittuosa alleata della prepotenza austriaca, incendiato il teatro eretto da Antonio Baiamonti, gli oppose per abbatterlo il balcanico Narodno Kazalište di Spalato”».
Non meraviglia allora come, alla morte del cigno di Busseto, avvenuta nel 1901, vari teatri della costa vennero a lui intitolati: quelli di Parenzo e di Zara e, nel 1913, quello di Fiume. Del resto, anche l’intitolazione del Comunale di Trieste a Giuseppe Verdi è immediatamente seguente al decesso del compositore. Alla stessa maniera, più di un teatro dell'area venne inaugurato con sue opere: a Fiume con l’Aida, a Zara con Un ballo in maschera, a Spalato con Il trovatore o con I lombardi alla prima crociata, a Ragusa con l’Ernani.
Nell’Adriatico orientale c'erano poi teatri che vivevano con sovvenzioni pubbliche e teatri non sovvenzionati. Tra i primi rientravano quelli di Fiume, Zara e Spalato, tra gli altri quelli di Pola e Sebenico. E proprio quello delle sovvenzioni alle produzioni operistiche nei teatri del territorio è uno dei temi che il libro affronta capillarmente, al pari di quelli legati alla ricerca degli impresari teatrali, alle condizioni del personale artistico e, naturalmente, al repertorio che veniva proposto. «Questo repertorio - afferma l’autrice - era per lo più costituito da opere italiane la cui presenza nei cartelloni solo verso i primi anni del Novecento sarà affiancata da quelle provenienti dall’Est europeo, in particolare nei teatri di Sebenico e Spalato. Nelle stagioni, abbiamo quindi una preponderanza di compositori come Donizetti e Bellini, oltre, ovviamente, a Verdi, ascoltati da un pubblico di varia estrazione etnica e culturale, formato da un vivace mix di elementi italiani, croati e austriaci”.