Tre agenti kosovari arrestati dai serbi: gli scambi di accuse aggravano la crisi
BELGRADO Non solo proteste e tensioni di nuovo crescenti tra serbi del nord e Pristina. La nuova crisi in corso da settimane nei Balcani, con epicentro il Kosovo, rischia di estendersi e di toccare pericolosissime vette. È quanto suggeriscono le differenti versioni su un controverso arresto avvenuto mercoledì poco dopo mezzogiorno, un incidente che potrebbe far definitivamente deflagrare la situazione sul terreno e le relazioni tra Serbia e Kosovo, già ai minimi termini.
Parliamo dell’arresto – per Pristina però è un rapimento - di tre agenti della polizia kosovara per mano di membri delle forze speciali anti-terrorismo e della Gendarmeria serba.
A dare l’annuncio in una conferenza stampa straordinaria è stato Petar Petković, numero uno dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, che ha precisato che i tre agenti «della polizia speciale di Kurti, armati fino ai denti», sarebbero stati individuati e fermati dalle forze serbe, bloccati, disarmati e ammanettati. Lo scenario è stato confermato dalle foto diffuse da Belgrado, che hanno mostrato i tre, con le uniformi blu della Kosovo Police, distesi a terra sull’erba, manette, viso nascosto da passamontagna. Davanti agli agenti kosovari arrestati dai serbi, tre kalashnikov, pistole, documenti ufficiali con lo stemma del Kosovo indipendente e walkie-talkie.
«Che ci facevano con quei fucili e quelle mappe, con strumenti Gps e di osservazione nel cuore della Serbia, cosa cercavano?», si è chiesto Petković, aggiungendo che il sospetto è che i tre volessero organizzare provocazioni per far salire ulteriormente la tensione già oltre i livelli di guardia causa la crisi nel nord Kosovo.
Ma il punto essenziale della storia è uno: dove sono stati arrestati, i tre agenti kosovari? «In profondità all’interno della Serbia centrale, nell’area del villaggio di Gnjilica, nel comune di Raska», ha sostenuto Petković. Dunque, il fermo sarebbe avvenuto ben lontano da quella che per Belgrado è la linea amministrativa, il confine tra Serbia e Kosovo auto-dichiaratosi indipendente nel 2008. «Voglio sottolineare con forza – ha poi rimarcato Petković – che i membri della nostra polizia non hanno messo neppure un piede» in Kosovo né «hanno violato la risoluzione Onu 1244», che vieta appunto il rientro di forze di polizia o militari nell’ex provincia serba. Sono stati invece gli agenti di Pristina, dei «terroristi di Kurti», a sconfinare.
Il caso è davvero esplosivo. Perché la versione del Kosovo è diametralmente opposta. I tre agenti di Pristina non sono stati arrestati, ma «rapiti» dai serbi nell’area di Bare, in territorio del Kosovo, ha replicato il ministro degli Interni kosovaro, Xhelal Svecla. Gli agenti kosovari erano di stanza «in profondità nel territorio del Kosovo, a un checkpoint statico, svolgendo le loro regolari mansioni» in particolare anti-contrabbando, ha aggiunto. Lì, sarebbero stati individuati e presi dalle forze serbe, «entrate in Kosovo violando tutti gli accordi internazionali e le norme legali». «Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione sulla Serbia per rilasciare i nostri agenti e cessare le provocazioni», così Svecla. È una «vendetta» per l’arresto di martedì del serbo Milun Milenković a Mitrovica nord, la Serbia vuole «l’escalation», ha rincarato il premier Albin Kurti.
L’unica certezza: tre agenti kosovari sono in mano serba, la loro liberazione diventerà ora un caso internazionale. E la situazione, invece che rientrare, appare ormai sempre più fuori controllo, mentre a Pristina si evoca ancora il blocco delle merci “made in Serbia”, come nuova rappresaglia.