Cinema al 100 per cento: ecco i film in sala dal 13 luglio
foto da Quotidiani locali
Mission: Impossible Dead Reckoning – Parte prima
di Christopher McQuarrie
con Tom Cruise, Rebecca Ferguson, Simon Pegg, Vanessa Kirby, Hayley Atwell, Pom Klementieff, Shea Whigham
Durata: 156’
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Tom Cruise torna ancora una volta a vestire i panni dell’intramontabile Ethan Hunt, specialista dello spionaggio ad altro rischio. Questa volta Ethan insieme alla sua squadra dell'IMF saranno alle prese con la sfida più pericolosa mai affrontata finora: una sorta di arma virtuale, un programma di simulazione che rappresenta una minaccia per qualsiasi potenza, ivi compreso gli stessi Stati Uniti, i cui vertici si metteranno, tanto per cambiare, contro lo stesso Ethan e la sua squadra, intenzionati a eliminare le due chiavi di accesso al sistema, prima che altri possano impadronirsene. Ovviamente la missione che li porterà in giro per il mondo, per impedire che l'arma finisca nelle mani sbagliate, non tocca località sconosciute. Roma e non Rocca Cannuccia, Venezia e non Canicattì, l’Orient Express che non è proprio il Regionale per Adria. Girato come sempre con gran dovizia di inseguimenti e di effetti speciali, il film segna il settimo episodio della serie ed è la prima parte di un dittico che si concluderà nel 2024.
Nel frattempo gli anni passano ed Ethan Hunt, e Tom Cruise con lui, si appresta ad emulare Indiana Jones e il suo interprete Harrison Ford, quanto a longevità seriale di un eroe sullo schermo: Cruise aveva 34 anni quando, nel 1996 uscì il primo “Mission Impossible”, ora ne ha 61, un po’ più appesantito, ma sempre attivo e tonico in inseguimenti, voli, salti e duelli impossibili, sempre interpretati in prima persona e con moderato uso di stunt-man. (michele gottardi)
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Le mie ragazze di carta
Regia: Luca Lucini
Cast: Andrea Pennacchi, Maya Sansa, Alvise Marascalchi, Cristiano Caccamo, Neri Marcorè
Durata: 101’
Voto: 6
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Alla fine degli anni ’70, Primo Bottacin (Andrea Pennacchi), sua moglie Anna (Maya Sansa) e il figlio quattordicenne Tiberio si trasferiscono a Treviso dalla campagna. La nuova dimensione cittadina è un’epifania per ognuno di loro: i pregiudizi di Primo si dissolvono nella tenera amicizia con un giovane travestito a cui consegna la posta; Tiberio scopre il sesso e si innamora di una star del porno vista nel cinema a luci rosse vicino casa (l’unico a fare soldi nell’era dell’egemonia della tv a colori); Anna resta ammaliata dai “schei” della città.
E mentre la società si trasforma, il perbenismo di matrice cattolica resiste: i primi spettatori della sala a luci rosse sono quelli che, di giorno, la contestano, il “si fa ma non si dice” imperversa; persino il prete che allena la squadra di rugby (Neri Marcorè) ha qualche segreto …
“Le mie ragazze di carta”, il nuovo film di Luca Lucini, presentato in anteprima al Bif&st di Bari, prova a fotografare il Veneto di quegli anni – tutto casa, chiesa e pruriti della nuova borghesia - ispirandosi all’inarrivabile “Signore & signori” di Pietro Germi.
Non è un caso che il poster di quel film campeggi in una delle sequenze di Lucini, riecheggiando il famoso “e che resti tra noi” gridato da Gigi Ballista, scudo di una morale brandita ma poco praticata.
E, sempre omaggiando il soggetto di Germi e Vincenzoni, Lucini sceglie ancora Treviso per ambientarvi le vicende della famiglia Bottacin. Il set, oltre che in città, è stato allestito anche ad Orsago, Eraclea, Jesolo e a Mogliano Veneto. Proprio qui, lo storico Cinema Teatro Busan è diventato, nel film, l’Odeon, sala a luci rosse pietra dello scandalo.
Girato con il contributo della Regione Veneto e in collaborazione con la Veneto Film Commission, “Le mie ragazze di carta” è anche un “coming of age” che segue il giovane protagonista (il bellunese Alvise Marascalchi) nel suo affacciarsi all’età adulta, in cerca del proprio ruolo, nella squadra di rugby come nella vita.
Peccato che, nonostante le intenzioni, il film si impantani nel solito macchiettismo veneto che, peraltro, nel caso specifico, non è neppure filologicamente onesto (alla fine degli anni ’70, Treviso non era così bigotta ma, anzi, nel pieno della rivoluzione a colori di Benetton).
Pur comprendendo le esigenze sceniche (su un tessuto narrativo che resta comunque fragile), forse sarebbe il caso che i registi di oggi dismettessero lo stereotipo del veneto un po’ stordito e delle cameriere ingenuotte che hanno popolato la cinematografia degli anni ’60. Il film è dedicato alla memoria di Mauro Spinelli, lo sceneggiatore, mancato due anni fa, che lo ha scritto insieme a Luca Lucini. (marco contino)