Incastrato dalle impronte digitali, inflitti quasi nove anni a uno dei gemelli Lupin

Dove non può il Dna, sono le impronte digitali a fare la differenza. È stato così per Edmond Trushi, il 38enne albanese gemello di Eduard, accusato insieme a lui di centinaia di furti in abitazione, dentro e fuori regione, e condannato a 8 anni e 10 mesi di reclusione dal tribunale di Udine.

Sarebbero state proprio le tracce lasciate su due ticket autostradali a incastrarlo, certificandone la presenza in Friuli alla vigilia di una serie di colpi messi a segno nel giugno 2015.

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La sentenza è stata emessa dal giudice Camilla Del Torre, al termine del processo che vedeva l’imputato chiamato a rispondere di 23 episodi, di cui due in concorso con il fratello, nel frattempo espulso dal territorio nazionale.

Noti come i “gemelli Lupin”, negli ultimi tempi - e cioè da quando anche Edmond, cui il magistrato di sorveglianza aveva concesso la misura alternativa dell’espulsione per i due anni residui di reclusione che stava scontando a Mantova per precedenti condanne, è sparito dai radar - erano diventati così imprendibili, da spingere la Procura di Udine ad appellarsi alla popolazione affinché qualsiasi eventuale loro avvistamento fosse segnalato.

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Eppure, anche quand’erano ancora in circolazione in Italia, dimostrarne la responsabilità era tutt’altro che scontato. Trattandosi di gemelli omozigoti e, quindi, di persone con codice genetico identico, infatti, in più occasioni anche la pur preziosa individuazione di tracce di Dna ha finito per rivelarsi inutile, per l’impossibilità di stabilire a quale dei due appartenesse.

Diverso il caso discusso martedì 18 luglio. Nel confermare l’impianto accusatorio e concludere per la condanna a 5 anni di reclusione, il pm onorario Marzia Gaspardis ha sfoderato non soltanto l’asso delle impronte digitali e della coincidenza temporale di alcuni dei furti denunciati, ma anche il non meno significativo rinvenimento di buona parte della refurtiva a casa dei fratelli, a Castiglione delle Stiviere.

Tra gli elementi emersi dall’attività investigativa condotta dai carabinieri, anche il ripetersi del modus operandi dei Trushi: la predilezione per le villette a schiera e la pratica del foro nell’infisso.

Proprio com’era successo quella stessa estate tra Ronchi, Staranzano e Fogliano, e, di nuovo, tra ottobre e novembre 2017, tra Aviano, Pordenone, Venezia, Treviso e Mantova.

Da qui, il peso specifico della recidiva specifica infraquinquennale nel computo della pena. Nel valutare ciascuno degli episodi contestati, il giudice ha ritenuto provati alcuni dei colpi commessi (e uno tentato) ad Aquileia il 1° giugno, per un bottino complessivo di 900 euro, due orologi e alcuni gioielli, a Villa Vicentina, il 2 giugno, per un totale di ulteriori 390 euro e altri preziosi, e a Santa Maria la Longa, il 3 giugno, per un totale di quattro abitazioni visitate e 270 euro e tre orologi trafugati.

Quanto alle accuse di ricettazione, relative ai gioielli trovati a casa loro a Castiglione delle Stiviere, il reato è stato riqualificato in quello di furto in abitazione. Da tutte le rimanenti contestazioni, Trushi è stato assolto con la formula del dubbio.

Proprio come aveva chiesto l’avvocato Fabio Porta per l’intero capo d’imputazione, escludendo potersi ritenere il suo assistito responsabile «a strascico» di tutti i casi denunciati nella zona, sulla sola base di due biglietti autostradali e, quindi, di una sua presenza in Friuli, e della fama di ladro che lo accompagna.

Argomenti, quelli della difesa, che in passato lo avevano in effetti salvato in altri processi e che, ora, saranno motivo d’appello.