Botte e insulti per imporre il velo islamico a moglie e figlia. Chiesti sei anni di carcere per l’uomo
Moglie e figlia vestivano all’occidentale. E soprattutto non indossavano il velo islamico. Questo era insopportabile agli occhi di un 35enne di nazionalità marocchina, che avrebbe instaurato un regime di terrore a sfondo religioso, in una casa della provincia. Fino a quando è stato prima arrestato e poi portato in tribunale per maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate e violenza sessuale.
La Procura della Repubblica ha chiesto una condanna a sei anni di reclusione, tenendo conto dello sconto di un terzo della pena previsto dall’abbreviato. Il gup Enrica Marson emetterà la sentenza mercoledì prossimo, nel frattempo la donna si è costituita parte civile con gli avvocati Prade e Montino per il risarcimento danni. Assoluzione la richiesta del difensore Zaglio, secondo il quale le accuse non sono state provate.
Ieri mattina l’imputato è arrivato a palazzo di giustizia in manette, scortato dagli agenti della polizia penitenziaria, per precisare i dettagli di due anni, nel corso dei quali avrebbe sottoposto le due donne a continue violenze e vessazioni.
Si è fermato alla minaccia di sfregiare la coniuge, ma l’avrebbe picchiata e violentata sistematicamente, mandandola all’ospedale Santa Maria del Prato. Quando lei non ce l’ha più fatta a sopportare la situazione, è andata a presentare una querela.
Era l’unica a lavorare in famiglia e a portare a casa il necessario per vivere, mentre l’imputato passava le giornate senza fare nulla, preferendo dedicarsi alle sostanze stupefacenti.
Una volta tornata a casa, scattavano le aggressioni, spesso sulla scorta del fatto che lei non si mostrava rispettosa dei precetti islamici. Né lei né la figlia indossavano abiti tradizionali maghrebini, in particolare non coprivano i capelli con l’hijab, il velo. Una trasgressione che non poteva tollerare e allora partivano le punizioni corporali: pugni, schiaffi, calci, tirate di capelli e anche cinghiate.
La donna cercava di coprire in qualche maniera i lividi che comparivano sul suo corpo e i maltrattamenti non sono emersi per diverso tempo. Il marito era gelosissimo e le vietava di uscire non solo con le amiche ma anche con la sorella.
Non era previsto, naturalmente che potesse accompagnarsi con altri uomini, se non appartenenti alla sua famiglia. Per impedirle qualsiasi tipo di frequentazione, in una occasione le avrebbe rovesciato addosso una pentola piena di olio bollente, provocandole delle ustioni.
Dopo una certa ora, gli assalti diventavano di carattere sessuale. Non era mai libera di dire di no e, se lo faceva, le conseguenze potevano essere pesantissime. Nel mese di agosto dell’anno scorso, l’avrebbe afferrata con forza e buttata a terra, costringendola ad avere un rapporto intimo, dopo averle tirato con forza i capelli e strappato i vestiti. Non si fermava davanti a nulla e, in un’altra occasione, avrebbe impugnato un coltello, minacciando di sfregiarla, perché lei non voleva consegnargli il telefono con tutti i suoi contatti privati.
Nella sua requisitoria, il pubblico ministero ha ripercorso tutti gli episodi, chiudendo la propria requisitoria con la richiesta di sei anni di reclusione. Tra una settimana, la sentenza di primo grado.