Apocalisse Hollywood, si rischia un 2024 senza film né serie tv: da Mission Impossibile a Emily in Paris, ecco i titoli che potrebbero saltare
Apocalisse Hollywood (con ripercussioni persino in Italia). Lo sciopero di sceneggiatori e attori contro gli studios potrebbe bloccare l’intera filiera produttiva dell’industria del cinema per molto tempo. E questo vuol dire che serie e film non verranno girati per mesi. Lo scenario cupo e fosco, peraltro dopo due anni di pandemia Covid che ha paralizzato il settore, è servito. Certo, come ad ogni sciopero che si rispetti, se lo stop non porta a conseguenze materiali non è nemmeno uno sciopero ma un brunch di gala con qualche magnanimo mogul che dispensa sorrisi e pagherò futuri. WGA e SAG-AFTRA, insomma, stanno facendo sul serio e negli ambienti hollywoodiani c’è chi, registrando la totale mancanza di fiducia tra le parti in causa, prospetta un 2024 senza serie e film.
Questo vorrebbe dire un crollo di biglietti e abbonamenti senza precedenti. Solo un calcolo riportato dalle più importanti testate del settore può far capire l’entità della questione: se non si arriva ad un accordo dal primo settembre divi ed executive producer dovranno tagliare i propri stipendi di un quarto. Il fronte dei set è realmente uno scenario da deserto dei tartari. La produzione di The White Lotus o Emily in Paris, ad esempio, non partiranno e la prossima primavera niente clickbaiting online con le nuove stagioni. Le star sono, ad ora, unite e compatte con i sindacati di categoria. Il cast di Oppenheimer, si sa, ha abbandonato in blocco la prima londinese del film mentre Margot Robbie, protagonista del film della concorrenza Sony, Barbie, ha annullato ogni presenza per la promozione del film in sala nelle prossime ore. George Clooney ha dichiarato che attori e sceneggiatori non riescono ad arrivare a fine mese e che questo sciopero è “un punto di svolta per la nostra industria”. Tom Cruise che nei giorni scorsi è sembrato fungesse da figura mediatrice tra scioperanti e major ha sospeso le riprese del nuovo Mission Impossible nel Surrey.
Come segnala Variety, però, la SAG ha approvato la possibilità che gli attori possano lavorare nelle riprese di 39 titoli indipendenti, tra cui due film della oscarizzata A24 che non fa parte della società dei produttori cinetelevisivi. Si tratta di Mother mary con Anne Hathaway e Death of a unicorn con Jenna Ortega. Tra i 39 titoli c’è anche il prossimo film di Mel Gibson, Flight risk, con Mark Wahlberg e la quinta stagione di The Chosen, la serie tv sulla vita di Gesù. Ricordiamo che WGA e SAG sono entrati in sciopero, i primi dal 3 maggio, i secondi pochi giorni fa, per tre motivi principali: un limite all’uso dell’intelligenza artificiale nei processi creativi di serie e film; l’aumento del salario minimo; e un nuovo sistema di conteggio per le repliche dei titoli in streaming affinché si possano calcolare aumenti adeguati agli sceneggiatori. Se questo mega sciopero ha un riverbero immediato sui film in produzione e in qualche modo sulla filiera che vive del formicacio infinito dell’industria hollywoodiana (si pensi solo a fornitori, ristoratori, ecc…), altri problemi sono sorti sul fronte festivaliero con, giusto per rimanere dalle nostre parti, l’ipotesi sempre più probabile di un’edizione del Festival di Venezia definito dal direttore Barbera, “paneuropeo”: ovvero senza titoli statunitensi e soprattutto senza red carpet delle star hollywoodiane.
In Italia la palla dello sciopero è stata presa al balzo delle medesime categorie italiane del settore. WGI (Writers Guild Italia) insieme ad altre cinque associazioni – Artisti 7607, Air3 (Associazione Italiana Registi), Anad (Associazione Nazionale Attori Doppiatori), Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) e 100 Autori – hanno pubblicato una lettera aperta indirizzata alla premier Giorgia Meloni sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme di streaming.
“Sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme streaming alle nostre categorie – si legge nella lettera aperta resa nota alla stampa – abbiamo seguito le audizioni in Commissione Cultura del Senato della Repubblica. Nel corso delle audizioni i rappresentanti delle piattaforme hanno sostenuto, con strumentali interpretazioni normative, di essere in regola con le previsioni di legge sulla trasmissione dei dati e di corrispondere dei compensi “adeguati e proporzionati” come indicato dalla direttiva copyright e dal decreto legislativo di recepimento nel nostro ordinamento. Al netto di generiche frasi di sostegno alle nostre categorie – sottolineano gli artisti – i rappresentanti delle piattaforme hanno completamente evaso il tema delle informazioni sui ricavi che generano in Italia e non hanno comunicato quale livello medio di compensi le piattaforme corrispondono ai professionisti coinvolti nelle opere. Abbiamo ascoltato soltanto mere autodichiarazioni prive di riscontri”.
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