La sindaca Cisint: «In acqua troppi bagnanti vestiti». Il Comune di Monfalcone annuncia la stretta a Marina Julia
MONFALCONE C’è chi il burkini, nelle spiagge, lo ha visto solo alla tivù. A Monfalcone, invece, il costume da bagno femminile che copre interamente il corpo, eccezion fatta per volto, mani e piedi, è stato sdoganato già anni fa: il due pezzi, per le donne musulmane, infatti non esiste. Così al progressivo aumentare della popolazione straniera, che in città ha superato il 30% dei residenti in totale, s’è moltiplicato il numero di mamme bengalesi, alcune col burkini, altre con i soliti tradizionali vestiti quotidiani, dedite ad accompagnare la prole in spiaggia. Ora, agli occhi della sindaca Anna Cisint, sono in troppi al mare vestiti e per questo intende «applicare precisi provvedimenti».
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Non solo donne
Alle musulmane coperte s’è affiancata la novità, quest’anno, che vede pure qualche uomo accedere al mare con pantalone a mezza gamba e canottiera o t-shirt, senza cioè boxer o costume da bagno. L’ha osservato coi suoi occhi la sindaca Anna Cisint, che considera il burkini, come pure burqa e niqab, una violazione dei diritti della donne, e in ogni caso ritiene che, per le ambizioni turistiche e gli investimenti sul litorale, i cittadini dovrebbero recarsi al mare con idonei indumenti. Così la sindaca ha deciso di scrivere agli esponenti delle comunità musulmane. E intanto valuta provvedimenti.
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Comportamento “inaccettabile”
«Marina Julia – sostiene – è tra gli arenili più apprezzati della regione per il turismo delle famiglie e degli appassionati agli sport del mare. Gli ingenti investimenti effettuati per la dotazione di strutture, il ripascimento della spiaggia e lo sviluppo dei servizi fanno del nostro litorale un punto di attrazione, con un numero crescente di migliaia di presenze. Per questo diventa inaccettabile il comportamento degli stranieri musulmani che entrano abitualmente in acqua con i loro vestiti. Una pratica che crea insopportabili conseguenze dal punto di vista della salvaguardia del decoro del luogo e che sta determinando sconcerto tra i tanti frequentatori che affollano Marina Julia e Marina Nova per la cura, attenzione e pulizia che le caratterizzano. Chi viene da realtà diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi che vigono nel contesto locale e italiano. Non possono essere accettate forme di “islamizzazione” del nostro territorio, che estendono pratiche di dubbia valenza dal punto di vista del decoro e dell’igiene, generando il capovolgimento di ogni regola di convivenza sociale».
Un provvedimento apposito
Agli occhi di Cisint le condotte «intaccano e compromettono le prospettive di una città che ha assunto una dimensione turistica consolidata, riconosciuta fra le località marine italiane». Comportamenti «lesivi» della «rispettabilità» e dignità «necessarie nella frequentazione di tali luoghi pubblici incidono negativamente sull’attrattività e sulle ricadute per i gestori dei servizi». «Ritengo – arringa – che la pratica di accedere all’arenile e in acqua con abbigliamenti diversi dai costumi da bagno debba cessare e intendo applicare questi principi con un apposito provvedimento a tutela dell’interesse generale della città e dei concittadini». Con esperti in materia legale, dunque, la sindaca sta valutando atti mirati.
Frattura tra cittadini
«Quest’inaccettabile comportamento si colloca in un contesto in cui si riscontrano sempre maggiori lesioni alle norme, principi e forme che sovrintendono la vita comunitaria, rischiando in tal modo di allargare la frattura nei rapporti fra la grande maggioranza dei monfalconesi e la componente islamica – aggiunge Cisint –. Mi riferisco alla sempre maggior presenza in città di donne con il burqa e l’integrale copertura del volto che impedisce ogni identificazione, evocativa d’una visione integralista, parte anche questa di atteggiamenti e una volontà di non rispettare regole e norme dei paesi di arrivo, in particolare da parte della componente del Bangladesh, presenza più numerosa».
«L’amministrazione comunale – termina la sindaca – non può consentire che si sviluppi “una città nella città” con regole diverse dalle leggi vigenti e dal comune sentire, determinando in tal modo una sorta di “discriminazione all’incontrario” e sarà rigorosa nel far rispettare gli ordinamenti comunali e pretendere dalle grandi realtà produttive, a cominciare da Fincantieri, un diverso governo dei flussi. L’arrivo incontrollato dai Paesi più poveri con forme di dumping diffuse soprattutto nei subappalti, che ha scaricato sul territorio conseguenze di carattere sociale, va rivisto».
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