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Июль
2023

Erika Pecchiari tra le prime donne assunte in porto a Trieste: «Apriremo la strada ad altre ragazze. I pregiudizi? Non li temo»

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TRIESTE «Saremo le prime e non saremo le ultime. Siamo solo all’inizio: spero che altre donne abbiano questa possibilità». Erika Pecchiari ha 22 anni, un diploma in ragioneria, qualche esperienza lavorativa deludente alle spalle e una voglia matta di buttarsi nella nuova esperienza. Il porto lei lo respira in casa: «Il mio fidanzato fa il portuale, gli ho sempre detto che prima o poi sarei diventata sua collega».

Con altre tre ragazze è la prima donna portuale di Trieste: cosa prova a essere una apripista?

«Mi sento orgogliosa. Ora vivrò pienamente questa esperienza assieme ad altre tre ragazze d’oro. Sono felice che saremo noi ad aprire la strada ad altre, che spero nel tempo saranno numerose».

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Il porto di Trieste assume donne solo oggi: perché c’è voluto così tanto?

«Penso sia mancata l’occasione. Altre ragazze ci hanno provato prima, ma i curriculum non hanno avuto risposta. Ora è iniziata una ricerca specifica, c’è volontà di diversificare l’ambiente ed è un’ottima scelta. Faremo in modo che non ci siano pentimenti».

Lavorare in banchina è duro: turni, sforzi, caldo e freddo. Perché ha questa scelta?

«Sono diplomata in ragioneria, ma col Covid non ho trovato subito lavoro. Ho fatto per qualche mese la cassiera e poi l’addetta alla vendita, ma ho visto questa occasione e mi sono buttata. È un lavoro pesante, un tempo solo degli uomini, ma ora è meccanizzato e più tecnico. Gli ambiti tecnici sono per entrambi i sessi. Gli sforzi non sono più quelli di una volta: non credo una donna possa avere difficoltà».

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Amici e parenti hanno provato a scoraggiarla?

«Nessuno. I miei genitori sono molto contenti per me. Sanno che mi piace avere un lavoro dinamico, non avere sempre gli stessi orari e cambiare mansioni».

Cosa significa per lei lavorare in un luogo simbolo per i triestini?

«Il desiderio ce l’ho da quando ho conosciuto il mio ragazzo e suo fratello, che fanno i portuali, si trovano benissimo e mi raccontano di un ambiente in cui gli sforzi sono premiati, l’impegno riconosciuto e ci si aiuta come in una seconda famiglia. Sono abituata ai discorsi del porto perché, quando ci entri, il porto ce l’hai in tavola tutti i giorni e ne parli sempre. Ho sempre detto al mio ragazzo “prima o poi sarò tua collega” ed è successo (ride). Il porto è una cosa importante per i triestini e c’è la sicurezza che in altri posti non c’è: li conosco bene gli stage e gli apprendistati, che li fai e poi ti mandano via».

Il presidente Mariani dice che le donne porteranno buon senso in porto. Che difficoltà può avere una donna e che contributo può dare?

«Troveremo pregiudizi sulla nostra volontà di impegnarci. Ma in porto gli uomini spesso si lamentano, bisticciano, sono indecisi su come fare una cosa: le donne sono decisioniste e sanno mettere d’accordo. Spero non siano testardi da non ascoltarci nemmeno».

Teme il maschilismo?

«Pregiudizi ci saranno sempre, ma io sono positiva».

Cominciate guidando una ralla: ci si vede su di uno di quei bestioni? Cosa le piacerebbe fare in futuro?

«Alla guida mi sento sicura, ma una ralla è certamente diversa da un’auto. Spero di fare presto la patente C, che serve a uscire in strada e non stare solo nel terminal. Ma tra qualche anno mi piacerebbe provare a fare la gruista».

Avrete lo stesso trattamento economico degli uomini?

«Sì, sicuramente».

Sta facendo l’intervista con in braccio un figlio di un anno: come riuscirà a conciliare l’impegno in porto con un bimbo da crescere?

«Per fortuna ho i miei genitori che possono tenerlo. E il mio ragazzo mi aiuta molto nonostante spesso i turni siano senza preavviso. Ce la faremo».

Come si fa ad avvicinare altre donne al porto?

«Altre ragazze ci hanno già chiesto di poter venire. Molte sono fidanzate di portuali. Speriamo succeda presto».

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