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Июль
2023

Il caro prezzo delle mascherine

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E ora bisogna smaltire due miliardi di «dispositivi». Ingolfano decine di magazzini in tutt’Italia. L’ennesimo monumento allo spreco pandemico per cui, si spera, qualcuno paghi.

Ci hanno fatto di tutto: tende parasole, improbabili abitini, panni multiuso. Adesso giacciono in periferici capannoni o scantinati scolastici. Lo Stato, durante la pandemia, ha comprato oltre 5 miliardi di mascherine. Un anno e mezzo dopo la fine dell’emergenza, due miliardi di dispositivi restano abbandonati in una trentina di magazzini, da Agrate Brianza a Pomezia, affittati alla modica cifra di 85 milioni di euro. Altri centinaia di milioni sono stati smaltiti. Un numero incalcolabile ingombra ancora istituti e uffici. Il resto lo hanno buttato via i perplessi beneficiari. Solo una minima parte ha trovato sparuti estimatori: più spesso come stracci che per coprirsi il volto.

Ovvio: la maggior parte era puzzolente, malfatta o addirittura pericolosa per la salute. Quelle mascherine sono costate uno sproposito: quasi 2,5 miliardi si scopre consultando l’oscuro e vetusto sito commissariale, concepito per celare piuttosto che chiarire. Comunque sia: la spesa resta la cifra più considerevole tra quelle investite dai passati governi in «dispositivi e attrezzature per il contrasto». Erano il simbolo della lotta al virus. L’indispensabile protezione. Ma la qualità scadente ha costretto i cittadini a far da sé, mettendo mano agli sguarniti borsellini. E almeno la metà delle mascherine reperite ora dovrà essere smaltita.

Eppure, gli acquisti sono continuati fino ai primi mesi del 2022, qualche settimana prima dell’attesissimo via libera. Dopo due anni di restrizioni, l’ex premier Mario Draghi anticipa a Firenze, davanti agli adoranti imprenditori, il ritorno alla normalità: «Voglio annunciare che è intenzione del governo non prorogare lo stato d’emergenza oltre il 31 marzo»: Basta Ffp2 nelle scuole e negli uffici. E basta commissario straordinario, Francesco Paolo Figliuolo. Era il 23 febbraio 2022. Ma nelle settimane precedenti, tra il 20 gennaio e 7 febbraio dello stesso anno, venivano appunto comprate altri 60 milioni di Ffp2: cinque contratti ad aziende italiane, per quasi 11 milioni di euro.

È uno dei più colossali sprechi della storia repubblicana. Adesso dovrà indagare anche la commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid. Si propone di far chiarezza su errori e mancanze. Non solo l’assenza di un piano pandemico, le tardive zone rosse o le improbabili cure a suon «tachipirina e vigile attesa». Ma pure sperperi, illeciti e speculazioni nei contratti pubblici: test, farmaci, ventilatori, guanti, camici. E soprattutto, mascherine: l’esborso più cospicuo. L’approvazione alla camera dell’indagine voluta dalla maggioranza è stata seguita da qualche polemica. Chi l’ha presa malissimo è Giuseppe Conte, l’ex premier per caso. Ovvero, colui che si trovava a Palazzo Chigi durante il primo anno di pandemia: il periodo che verrà investigato con particolare dovizia.

«Io vi accuso davanti al popolo italiano: questa commissione è una farsa, non è un atto di coraggio politico, ma di vigliaccheria» deflagra in aula il leader dei Cinque stelle. Non proferisce invece parola il suo fido scudiero in quei tempi bui: Domenico Arcuri, ex onnipotente commissario all’emergenza, poi sostituito dal governo Draghi con Figliuolo. Fu Giuseppi in persona a sceglierlo e sostenerlo, a dispetto delle accuse di scarsa capacità e rivedibile trasparenza. Le 800 milioni di mascherine importate dalla Cina per un miliardo e 250 milioni di euro sono l’inarrivabile monumento alla dissipazione pubblica: pagate a peso d’oro, pericolose per la salute, comprate con modalità sospette. Arcuri, assieme ad altri, è accusato dalla procura di Roma di abuso d’ufficio per la fornitura cinese. Il 15 settembre 2023 sarà deciso l’eventuale rinvio a giudizio. La mega fornitura avrebbe favorito imprese e intermediari, grazie anche all’imprescindibile ruolo di Arcuri.

Tra le spese da revisionare, spiccano le chirurgiche inviate nelle scuole di tutt’Italia. Dei 5,2 miliardi di protezioni comprate dallo Stato, rivela ancora il macchinoso sito commissariale, oltre un terzo è stato consegnato ad alunni, insegnanti e personale: 1,8 miliardi in totale. Ora magazzini e scantinati sono colmi di inutili e ingombranti scatoloni. C’è chi, con encomiabile estro, s’è ingegnato. Vedi la scuola di Prato che le ha usate come tende parasole, appunto. Ma gli altri, per liberarsene, saranno costretti a usare soldi destinati agli studenti. Un’ulteriore iattura, viste le esigue risorse. Le mascherine sono rifiuti speciali. Lo smaltimento è costoso. Centinaia di presidi avevano pregato il ministero di non inviare più materiale già destinato all’inceneritore: di infima qualità, prossimo alla scadenza, praticamente inadoperabile.

Troppo grandi. Troppo piccole. Senza nasello. Odore sgradevole. Hanno rivaleggiato per inutilità con un altro indifferibile acquisto destinato a venir indagato dalla commissione parlamentare: i banchi a rotelle. Voluti sempre da Arcuri, in tandem con un’altra indimenticabile: l’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. Le chirurgiche inviate ad alunni e insegnanti dovevano essere il buongiorno quotidiano di Giuseppi. Si sono trasformate in un ulteriore supplizio. Soprattutto quelle marchiate «presidenza del Consiglio»: realizzate da aziende italiane su indicazione di Arcuri, che s’era premurato di procurare pure i macchinari.

La produzione delle «mascherine di comunità» viene avviata alla fine dell’estate 2020, dopo mesi di pandemia e conseguente esperienza sul campo. Gli istituti sono comunque invasi da tonnellate di modelli rinominati «mutanda». O «giarrettiera», dai più audaci. Già considerati scomodi e inutili ai primi contagi. Introvabili perfino nelle più remote farmacie di provincia. Niente sobri elastici da passare dietro le orecchie, bensì ricercate fasce merlate. Il solerte Arcuri pensa subito a forniture continuative, compresi prevedibili lockdown e attese vacanze. Meglio abbondare, allora. Del resto, in passato, l’avevano veementemente attaccato per le mancanze iniziali. E lui si adopera di conseguenza. Tra le aziende italiane, l’appalto più generoso viene affidato a Fca, l’ex Fiat. Due accordi firmati il 30 luglio 2020: «Fornitura e produzione di mascherine in favore del commissario», da settembre 2020 a settembre 2021. Primo contratto: 200 milioni di euro per 1,67 miliardi di chirurgiche. Secondo: 37 milioni per 307 milioni di pediatriche. Totale: 237 milioni per due miliardi di dispositivi.

Ma il patto, allora, è ben più generoso: Arcuri concede in comodato d’uso pure i costosi macchinari necessari allo scopo. Sono acquistati, si apprende ancora dagli archivi commissariali, da Fameccanica, del gruppo Angelini, a cui vanno quasi 80 milioni di euro. E da Ima, di Alberto Vacchi, che riceve 15,7 milioni. Nel piano viene marginalmente coinvolta anche Luxottica, l’impero degli occhiali. L’8 settembre 2020, si accorda con Arcuri per la fornitura di 260 milioni di pezzi, per poco più 23 milioni di euro. Altre aziende, invece, non hanno bisogno di riconvertire la loro produzione. Centoventidue milioni, tra chirurgiche e camici, vanno a Giuntini, azienda di moda toscana, a maggio 2020. Nello stesso mese viene affidato un contratto da 48 milioni a Grafica veneta, la stamperia dei bestseller. I lotti più ricchi, e controversi, se li aggiudicano però due aziende cinesi ad aprile 2020. Una è Luokai Trade: 634 milioni di euro. L’altra è Wenzhou Light industrial products: 617 milioni. La stragrande maggioranza dei dispositivi, Ffp2 o Ffp3, viene acquistata alla ragguardevole cifra di 3,40 euro a pezzo, attraverso quelle procedure negoziate finite sotto inchiesta a Roma. Sono i bandi per cui è indagato Arcuri, assieme a 11 persone. Mascherine fuorilegge. Sono state chiuse nei magazzini, pagati dallo Stato, per quasi due anni. Visto il notevole esborso, Figliuolo, prima di lasciare l’incarico, decide di farne smaltire almeno una parte: 220 milioni di pezzi. Costo della pratica: quasi un milione di euro.




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