Giovanni Marcolin: terra, lavoro, famiglia. «Rimase qui per aiutare la sua gente»
L’intervista
Nel pantheon dell’occhialeria mondiale ci sono alcuni nomi che hanno fatto la storia e che resteranno immortali anche nel futuro di questo settore. Basta fare quattro passi a Longarone, per scoprirne alcuni. Uno di questi è Marcolin, azienda nata dall’intuizione di Giovanni Coffen Marcolin, nato nel 1931 e scomparso, a 82 anni, nel 2013.
Domani (alle 16 a Longarone Fiere) Certottica gli dedicherà una sala del Politecnico dell’Occhiale, durante la cerimonia di consegna dei diplomi ai 14 nuovi stilisti dell’occhiale sfornati dall’Its.
È il figlio Cirillo Marcolin che ci racconta papà Giovanni, partendo da una curiosità.
Marcolin avrebbe potuto chiamarsi Coffen. Giusto? Ci spieghi il perché?
«Marcolin era il secondo cognome di famiglia (probabilmente c’era stato un avo Marco di bassa statura, da cui màrcolino) per distinguersi, come accade nei nostri paesi, dagli omonimi. In paese c’erano vari Giovanni Coffen e allora quando papà decise di creare una sua azienda scelse di chiamarla proprio Marcolin».
Suo padre è nato ed è morto a Valesella, un paese poco lontano da qui, dove lui ha deciso di vivere per tutta la sua vita. Anche quando l’azienda è diventata un colosso internazionale. Come spiega questo suo attaccamento al territorio?
«Terra, lavoro, famiglia erano i suoi valori. Con l’azienda ha dato lavoro a tanta della sua gente. Che senso avrebbe avuto andare a vivere altrove quando gli affetti veri erano qui? Mi sembra un bell’esempio di riconoscenza per il Cadore e la sua gente».
La famiglia è stata una realizzazione importante. Anche la scelta di diventare imprenditore, da terzista che era, la ebbe quando sono nati i tre figli: lei e Maurizio nel 1960, e poi vostra sorella Monica: voleva garantirvi un futuro migliore di quello che avreste avuto se lui fosse rimasto dipendente da altri?
«Nostro padre aveva frequentato l’Istituto tecnico di Pieve di Cadore, aveva iniziato a lavorare come meccanico presso la Desil e faceva lo stampista. Inoltre aiutava suo padre, nonno Cirillo, che era un pastore. Già a scuola era fra i migliori, era un perfezionista e questo gli aveva consentito di trovare subito lavoro e di meritarsi un buon stipendio. Ma non voleva fermarsi lì, aveva un suo progetto da realizzare, su cui rischiare, su cui impegnare tutto se stesso. Così aveva comprato una macchina per fare le aste degli occhiali e l’aveva messa a produrre in cantina. Da lì è partito con nostra madre Maria Giovanna Zandegiacomo Seidelucio, detta Marì. Così divenne produttore di componenti per Lozza, Safilo e altri del settore».
Ci parli del rapporto con voi figli e con i dipendenti. Suo padre era un imprenditore moderno, ascoltava i suoi collaboratori; prendeva spunto dalle idee per crescere?
«Papà era un cattolico convinto, cantava in chiesa, era umile e altruista. Da imprenditore ha aiutato molti ed era spinto dal desiderio di essere il migliore, di stare più avanti degli altri. Conquistò mercati importanti, anche all’estero, mantenendo sempre un rapporto diretto con ogni singolo dipendente. Faceva il giro dell’azienda ed era solito ripetere che c’era da imparare più dai dipendenti che dai dirigenti. E a chi se ne andava, augurava il meglio. Ricordo, infine, che capì anche l’importanza strategica della pubblicità, sponsorizzando già all’epoca alcune gare di sci a Cortina».
Cosa direbbe ai ragazzi che hanno concluso il percorso di studi altamente professionalizzante dell’Its e che di apprestano ad entrare nel mondo del lavoro?
«A noi ha consentito di fare la nostra strada, di proseguire gli studi, di laurearci alla Bocconi, di fare esperienza in azienda e fuori, di assumerci al momento opportuno le nostre responsabilità, dopo esserci specializzati io in amministrazione, controllo e finanza e Maurizio in marketing e comunicazione, materie che allora erano innovative. Nel 1984 io sono diventato amministratore delegato perché già allora papà aveva chiaro il passaggio generazionale. Nostro padre è stato un esempio nella vita e nel lavoro e così lo ricordiamo non solo noi, ma tanti amici, compaesani, dipendenti. Cosa direbbe ai giovani di oggi? Quello che disse a noi: scegliete la vostra strada, impegnatevi tutti i giorni, abbiate stima e fiducia in chi lavora insieme a voi, fate dell’umiltà un valore di riferimento».
Suo padre ha avuto anche incarichi importanti a livello di sistema: fondatore e vice presidente di Mido, vice presidente di Anfao.
«Anche lì è stato un antesignano: quando imperava l’individualismo, lui seppe intuire che era importante fare squadra nel settore dell’occhialeria, creare e far crescere associazioni di categoria capaci di rafforzare tutti, soprattutto i più piccoli che ne avevano più bisogno. Da vice presidente di Anfao fu nel primo gruppetto di imprenditori che diede vita a quella che al suo nascere era una piccola manifestazione, all’inizio semplice parte della Campionaria milanese: il Mido».