Albergo sequestrato ad Arta Terme nell’inchiesta sulla Banda del buco
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Società acquisite e portate al fallimento. L’hotel Alle fonti è fra i beni finiti nel mirino degli inquirenti
ARTA TERME. C’è anche un albergo di Arta Terme, la struttura denominata Alle fonti, tra i numerosi beni che la Guardia di finanza di Bologna ha sequestrato, per un totale di oltre 32 milioni di euro, a un sodalizio criminale che rilevava società in crisi, ma ancora dotate di apprezzabili risorse, per poi depredarle e condurle al fallimento.
La Banda del buco, come l’hanno denominata gli inquirenti, non si faceva scrupoli delle sorti di centinaia di dipendenti delle società “svuotate”, lasciandoli per mesi senza stipendio e, successivamente, licenziandoli, nell’imminenza dei fallimenti pilotati.
Sono 15 gli arresti effettuati e 32 le persone denunciate nell’ambito di questa inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Bologna, in particolare dal pm Roberto Ceroni, e condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria del capoluogo emiliano.
In questi ultimi giorni i finanzieri hanno posto i sigilli all’albergo di Arta Terme che, in ad accertamenti e ricostruzioni, è riconducibile ad appartenenti alla banda.
Sotto sequestro anche un altro albergo sul lago di Vagli, in Toscana; immobili di pregio sui colli bolognesi; un ristorante a Forte dei Marmi; veicoli di lusso e d’epoca tra cui una Bentley e una Ferrari; un’imbarcazione di 12 metri; orologi e gioielli.
Secondo le Fiamme gialle, «lo “sciacallaggio” fatto dal sodalizio – si legge in una nota diffusa ieri dal Comando di Bologna – è avvalorato dal ritrovamento e dal sequestro della “refurtiva” sottratta alle società indotte al default, che era nascosta in alcuni capannoni del Sud Italia, tra cui: 14 mila bottiglie di liquori e vini pregiati; 650 prosciutti di Parma di uno stabilimento di Langhirano; 240 mila prodotti per la cura della persona».
Ma cosa faceva in pratica questa banda che, stando agli accertamenti della Gdf, era composta da «bancarottieri seriali»? Si dedicava alla «continua acquisizione di società in crisi, da depredare e condurre al fallimento».
Le indagini hanno evidenziato che «l’organizzazione, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario del Bolognese attivo nei settori della dermocosmesi e della grande distribuzione (con 32 supermercati in Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), abbia effettuato operazioni di “sciacallaggio”, cagionandone il dissesto».
Tra le operazioni contestate, anche la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a società di nuova costituzione riconducibili alla banda, pregiudicando così la riscossione coattiva da parte dell’Erario di 33 milioni di euro di tributi.
La conduzione illecita dei supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto attraverso società di “comodo” che hanno compensato i contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.
I proventi illeciti sono stati reinvestiti in nuove attività, tra cui l’acquisto di un prosciuttificio nel parmense, o trasferiti – per la “ripulitura” – a società italiane ed estere compiacenti.
Tra queste, tre “cartiere”, con sede formale a Milano, amministrate da cinesi irreperibili che, in un anno, hanno emesso fatture false per 7 milioni e ricevuto bonifici per 11 milioni di euro.
Tali soggetti erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi derivanti da reati fallimentari e fiscali attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare i presìdi anti-riciclaggio.
Trait d’union tra gli appartenenti alla consorteria e i cinesi erano due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati in un “giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna».