Stoppa dj, a 70 anni ancora in console: «Così ho fatto ballare il Veneto»
foto da Quotidiani locali
«Quest’anno festeggio i miei 50 anni da dj ma per me non è un lavoro, è una ragione di vita. Mi sento attivo, giovane, pieno di energia. Non vedo l’ora che venga venerdì per andare a lavorare». Settant’anni e non sentirli, signore e signori ecco a voi Stoppa dj, l’uomo che ha fatto ballare il Veneto: Pablo 3 a Castagnaro, Playtime a Legnago, Boom a Vicenza, Angelo Rosa (e poi Station) a Maserà, Kolossal a Spresiano, Area City a Mestre, De Niro a Villa del Conte, Par Hasard ad Abano, Masko e Studio 16 a Rovigo. Le colonne sonore dei venerdì sera, dei sabato sera, delle domeniche pomeriggio, incarnate nelle sembianze di un uomo. Per chi ha calcato le piste delle discoteche negli ultimi 50 anni, Stoppa dj è una specie di idolo.
Stoppa dj, al secolo Roberto Stopazzolo di Legnago, 70 anni il 20 agosto prossimo, qual è il suo segreto?
«Per fare il dj ci vogliono le 3 C: cuore, cervello e carisma. Devi prima emozionarti, per emozionare la gente. La console di un dj è come un palco. Servono cuore e cervello per capire le situazioni e poi personalità per fare la differenza. Per questo io lavoro ancora».
Ancora lavora all’alba dei 70 anni?
«Certo, sono a Villa Italia a Padova e a Villa Bonin a Vicenza».
Non si stanca alla sua età?
«A maggio, giugno e luglio ho lavorato 6 sere a settimana senza battere ciglio».
Dica la verità: si guadagna molto a fare il dj?
«Io sono stato uno dei dj resident più pagati d’Italia. Resident significa che rimanevo venerdì, sabato e domenica sempre nello stesso locale. Nel 1984 lavoravo al Playtime di Legnago e guadagnavo 1 milione e 800 mila lire al mese. A un certo punto venne un gestore di Cologna Veneta e disse: ti offro il doppio. E così a fine 1984 guadagnavo 4 milioni di lire al mese. Fu un beneficio per tutti i colleghi, perché grazie a me vennero riparametrati tutti i cachet».
E oggi si guadagna lo stesso?
«Assolutamente no, è cambiato tutto. Ora si prendono 300 euro a serata se va bene. Ma il periodo in cui ho avuto la fortuna di lavorare io è stato il boom delle discoteche. Aprivi le porte e facevi 3 mila persone. C’erano i pr, i vocalist, i direttori artistici. Poi sono cambiati i costumi. Adesso la musica la fanno tutti: i ristoranti fanno musica, le pizzerie fanno musica, le disco fanno ristorazione».
Può raccontare qualche aneddoto della sua carriera?
«Allora, diciamo che per fare il dj non c’è bisogno di andare a cercare le ragazze... In più io ero anche carino. Infatti mi sono incasinato la vita: ho due digli con due donne diverse e mi sono mangiato un sacco di soldi (ride)».
Ok, l’aneddoto?
«Una volta al Boom di Vicenza arriva il manager di una band, si avvicina e mi presenta una ragazza di 16 anni. Era Laura Pausini ancora ragazzina. È rimasta lì nella console con me, ci siamo scambiati il numero di telefono e ci siamo sentiti per un po’ di tempo. Io avevo 32 anni, ma poi ci siamo persi di vista».
In discoteca ha mai conosciuto qualche donna che poi è diventata la sua fidanzata?
«Qualche anno fa lavoravo al Gilda a Vicenza. A un certo punto mi batte la spalla una ragazza. Dico: cosa fai qua? Lei mi risponde: sono qua per conoscere te. È nata una storia. Questo lavoro facilita molto l’incontro con le ragazze».
Ma lei ha cominciato subito a fare il dj o lo è diventato?
«No, io sono un hippie, un figlio dei fiori, sono nato con Woodstock. Ho suonato chitarra, basso, batteria ma sempre con poca voglia di studiare. Nel 1972, a 19 anni, mi chiamarono per fare il cantante in una band di Rovigo. Suonavano tutti i fine settimana in una discoteca di Portogruaro. Il primo locale grande in cui mi sono esibito è stato il Top Ten di Bibione. Poi ho conosciuto una donna francese, di Parigi, e sono andato a vivere lì due anni. Facevo un po’ il geometra e poi continuavo a suonare in due locali. Mi sono sposato, ho avuto la prima figlia».
Quando ha iniziato, quindi, a fare il dj?
«Dopo due inverni a Parigi sono tornato in Veneto, era il 1976. Inauguravano una discoteca nuova a Castagnaro: ho cominciato lì».
C’è un’esperienza che ricorda con piacere, più di altre?
«Ho fatto una cinquantina di dischi con il nome Alpha Town: cantavo e scrivevo testi di musica dance italiana. Con queste canzoni mi sono piazzato ai primi posti in classifica in Giappone. Così nel 1989 mi organizzano una tournée lì. Sono rimasto 40 giorni. Avevo capelli lunghi e il giubbotto con le frange. Arrivavo negli aeroporti e le ragazzine diventavano matte. Ho fatto il dj anche lì. Firmai con la casa discografica Emi un contratto per realizzare quattro cd: diventarono colonne sonore per i cartoni animati giapponesi».
Quando smetterà di lavorare?
«Al momento proprio non ci penso. C’è ancora tempo».