La sfida fiscale passa per un sentiero stretto
Nelle prossime settimane il governo avrà bisogno di 35 miliardi di euro per costruire la legge di bilancio. La leva per riuscirci? La riforma delle tasse, che punta a riordinare la materia con provvedimenti per semplificare la vita ai contribuenti come alle aziende. E per liberare finalmente risorse da destinare alla crescita.
Tra un mese e mezzo «si parrà la nobilitate» del centrodestra. Entro il 15 ottobre la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti dovranno presentare la legge di bilancio: sarà la prima interamente progettata da questo esecutivo. Il paradigma sarà: difendere i ceti più deboli, rilanciare professioni, mestieri, piccola e media impresa, frenare gli appetiti dei grandi gruppi soprattutto finanziari in una visione di difesa, anche dalle «ingerenze» europee, di tutto ciò che è Italia. La leva fiscale è la più efficace e potente. Solo che, per avviare la «grande riforma», ci vogliono risorse. Emerge peraltro una stridente contraddizione tra ciò che pensa Palazzo Chigi - puntare a un fisco più leggero con approdo alla flat tax a fine quinquennio - e quello che dichiara il direttore dell’Agenzia delle entrate. Ernesto Maria Ruffini - è rimasto al suo posto: i piagnistei sul cosiddetto «spoils system» hanno le gambe corte - ha rivelato agli incontri balneari della «Versiliana» che si aspetta di recuperare 50 miliardi di euro dall’evasione che pure è in calo (stimata sui 70 miliardi).
Tale cifra è scritta dentro la nuova convenzione siglata dall’Agenzia con il governo, che si aspetta il 15 per cento di recupero in più quest’ anno e il prossimo (2,8 miliardi); cominceranno perciò i controlli incrociati a tappeto sui conti correnti. Alla domanda: si va verso il fisco amico? Ruffini ha risposto: «No, il fisco non può essere amico, deve essere giusto». La riforma delle tasse contenuta nella legge delega approvata da Camera e Senato potrebbe invece portare come sottotitolo: il fisco amico. Su questo le opposizioni hanno costruito la narrazione di un esecutivo che strizza l’occhio agli evasori, citando una frase di Giorgia Meloni che ha parlato di «pizzo di Stato» a proposito di certe aberrazioni tributarie. Poi la premier ha aggiunto: «Ho solo detto che la caccia al gettito non è lotta all’evasione, è sbagliata». Ma Ruffini sostiene che il governo gli ha proprio indicato obiettivi di gettito. Il fisco dunque è il vero banco di prova per Giorgia Meloni che si muove tra ristrettezze di bilancio e la scadenza elettorale delle Europee a giugno 2024. La presidente del Consiglio ha rivendicato una misura che ha fatto molto discutere: la tassa sugli extraprofitti delle banche. È più corretto definirla prelievo sul differenziale tra gli interessi riscossi da prestiti e mutui e quelli riconosciuti ai depositanti, che ha gonfiato non poco e in positivo i bilanci degli istituti di credito.
Un modo - ha spiegato Meloni - per riequilibrare le distorsioni indotte dalle manovre della Banca centrale europea sui tassi e anche per fare un po’ cassa in vista della legge di bilancio. Che dovrà confermare la «rivoluzione dalle tasse» operata con la delega fiscale, ma che per ora è soprattutto una carta di buone intenzioni e rischia di essere finanziata, nella fase di avvio, in deficit. Ai tassi attuali non è operazione cui procedere a cuor leggero. Il contributo bancario per ora ha prodotto una reazione stizzita e in larga parte immotivata di Christine Lagarde, numero uno della Bce. Polemiche europee a parte, ci sono due segnali che dovrebbe dare la legge di bilancio: la detassazione di straordinari e premi di produzione (oltre al rifinanziamento del taglio del cuneo fiscale, che è una riduzione del cuneo contributivo) e l’abolizione dell’anticipo di novembre sulle tasse. Ma per mettere in pratica queste misure servono soldi e la manovra che si annuncia da non meno di 35 miliardi va in cerca di tali fondi.
Il conto delle prime mosse sul fisco è presto fatto: il mantenimento del taglio del «cuneo» vale da 10 a 13 miliardi di euro, l’eventuale riduzione a tre delle aliquote costa altri tre miliardi, la detassazione di tredicesime e premi di produttività ne vale altri cinque. Vanno aggiunti, anche a causa delle manovre della Bce sui tassi, almeno altri 3,5 miliardi di maggiori uscite per interessi sul debito pubblico - che fa il record a 2.834 miliardi - e una decina di miliardi di uscite indifferibili. C’è poco spazio per fare altro, perciò i segnali sul fisco (per dare compiuta sostanza alla delega con i relativi decreti attuativi serviranno due anni) diventano l’elemento caratterizzante della manovra. Il combinato disposto di inflazione più mutui in rialzo sta vanificando la ripresa dell’occupazione in termini di percezione di ricchezza degli italiani e anche gli aumenti di stipendio dei rinnovi contrattuali rischiano di essere immediatamente erosi.
Dunque, Giorgia Meloni deve da una parte evitare spinte recessive (il crollo dei consumi turistici è solo un anticipo di ciò che ci aspetta in autunno), dall’altra alleggerire la pressione delle imposte per far respirare i portafogli delle famiglie. Sono necessarie risorse che il governo si augura di reperire nello slancio dell’economia (Pil previsto in aumento dello 0,8 da Istat a fine luglio, con il ministero dell’Economia che conferma la previsione di circa l’1 per cento e l’agenzia di rating Fitch che certifica che solo Italia e Spagna sono in crescita). In ogni caso il cambiamento operato con la delega fiscale è davvero consistente. Un primo segnale sia politico sia di cassa dovrebbe arrivare appunto dal prelievo straordinario sugli utili bancari - Forza Italia con Antonio Tajani vuole introdurre modifiche - che nella migliore delle ipotesi porta tre miliardi e che si pensa di ammorbidire facendolo diventare una sorta di anticipo di tasse che saranno poi restituite a rate dal governo agli istituti di credito. Su tale linea si potrebbe pensare di chiedere uno sforzo ad altri comparti proprio in vista della riforma fiscale.
Le altre disponibilità arrivano dalle entrate tributarie accresciute dall’inflazione (nei primi cinque mesi ci sono stati sei miliardi di aumento: a fine anno si arriverà a una decina) e dalla benzina. Il taglio delle accise e dell’Iva (che lievita su tutti i generi e causa inflazione), da molti invocato e su cui il ministro del Made in Italy Alfonso Urso tiene il punto, ammonterebbe a 12 miliardi. Più o meno quelli che occorrono per il taglio del cuneo fiscale. Su questo l’esecutivo fa muro, anche perché le accise sono davvero una flat tax: ridurle premia i più ricchi. Giorgia Meloni preferisce ora sostenere i più deboli. Il leghista Alberto Gusmeroli, presidente della commissione attività produttive della Camera, ma per le sue competenze di fiscalista eccezionalmente anche relatore di maggioranza sulla delega fiscale, sostiene che «la rivoluzione del fisco è cominciata davvero: il primo effetto sarà l’abolizione dell’anticipo delle tasse a novembre. Abbiamo avuto i pareri anche di Eurostat che ci confortano: evitare di far pagare in anticipo le tasse non comporta alcun aggravio per lo Stato, ma libera aziende e autonomi da un incubo. Ora le tasse si cominciano a pagare da gennaio e a rate. Con il “credit crunch” era folle pensare di continuare a far indebitare le aziende per anticipare al sistema fiscale guadagni che non hanno ancora avuto. È giusto far pagare le tasse solo a profitti effettivamente realizzati. Poi ci sono gli altri impegni: rendere strutturale il taglio al cuneo fiscale e detassare tredicesime, premi di produzioni per restituire ai lavoratori parte di ciò che inflazione e mutui hanno portato via. E poi ci sono delle novità importanti sulle imposte: di fatto si cancella l’Irap che resta solo per grandi gruppi, ma sarà accorpata all’Ires e si rendono più agevoli le fusioni. Un capitolo significativo è la definizione di un nuovo rapporto fisco-cittadino: con il concordato preventivo si fa un patto con l’Agenzia delle entrate. Se il contribuente accetta il reddito proposto dal Fisco per i due anni successivi non avrà controlli che invece saranno rafforzati per tutti gli altri. E poi c’è il grande capitolo della semplificazione che va di pari passo con l’obiettivo flat tax». Che ce ne sia bisogno è indubbio: ad agosto, mese di vacanza e di comprensibile rallentamento, gli adempimenti fiscali sono stati addirittura 180... Per sapere se è arrivato il tempo per cambiare davvero, facendo bene i conti con le risorse disponibili, basta attendere la legge di bilancio. Magari il Fisco non sarà del tutto amico, ma almeno prova a essere sincero.