E adesso chi difende gli avvocati?
Gli avvocati italiani sono sull’orlo di una crisi di nervi. E non solo per i margini di fatturato sempre più esigui (la media nel 2021 è stata di 18 mila euro all’anno contro i quasi 20 mila del 2013) o per le prospettive di carriera che si assottigliano (nel 2022 hanno detto addio alla Cassa forense 2.650 under 35); compressi come sono in un mercato che vede la concorrenza spietata di 240 mila iscritti all’Albo. No, i legali hanno un problema di convivenza e di condotta. Quasi un professionista su 10, infatti, è sotto procedimento disciplinare (nel 2021 i fascicoli pendenti erano 23.386 con un incremento, rispetto all’anno precedente, del 5,1 per cento). E già questa sarebbe, di per sé, materia di riflessione. Quel che colpisce, tuttavia, è la natura dei capi di incolpazione. Oltre ai procedimenti avviati a seguito di inchieste penali (si va dal peculato all’appropriazione indebita, dalla truffa agli stupefacenti) i 26 consigli distrettuali di disciplina, che hanno preso il posto dei 145 giudici incardinati presso gli Ordini territoriali, si trovano sempre più spesso a giudicare vicende bagatellari, quasi insignificanti.
È il caso di quel penalista che rischia la sospensione per aver chiamato «ciccione» un corpulento collega che gli aveva sottratto un cliente. C’è poi chi, con «tono canzonatorio», recita il verbale d’accusa, ha definito un altro togato «caro» giocando sul significato tanto di «affettuoso» quanto di «costoso» (essendo il destinatario della frecciatina un professionista incaricato da un Ente pubblico e, quindi, notoriamente ben retribuito). Guai sono arrivati anche a quel legale che, per venire incontro alle richieste dell’assistito di frazionare il pagamento dell’onorario, si è visto condannare per aver ritardato l’emissione del documento contabile. E ancora: chi ha osato definire «carrozzone corporativo» l’Ordine (ma qui siamo quasi all’harakiri...) e chi non ha restituito il fascicolo al cliente. Un legale è poi finito sotto inchiesta per aver dimenticato di depositare un appello e si è giustificato sostenendo di non essere riuscito a recuperare copia della sentenza da lavorare per proporre l’impugnazione. Peccato che gliel’avesse girata via mail (facile dimostrarlo) lo stesso assistito parecchie settimane prima della scadenza.
E vogliamo parlare del professionista che è stato sanzionato perché, in qualità di arbitro/conciliatore, ha parteggiato per una fazione cui era presumibilmente legato da interessi economici? Oppure di quell’altro a cui è stato contestato di aver intrecciato una «love story» con l’ex compagna di un suo cliente? Significativo anche il capitolo su media e social. Capita sempre più spesso, infatti, che le toghe finiscano davanti ai giudici della categoria per interviste o articoli «sgraditi». O, addirittura, come capitato all’avvocata Alessandra Demichelis del Foro di Torino, a cui è stata irrogata una sospensione di 15 mesi, per aver aperto una pagina Instagram dal titolo «Dc Legalshow». «Hanno voluto infliggermi una sanzione esemplare» spiega a Panorama, «ma non mi arrendo: ho già presentato ricorso». «È assolutamente incomprensibile la proporzione della mia pena: ci sono colleghi, macchiatisi di gravi reati, che sono stati sospesi per un paio di mesi. E io, per delle foto sui social, dovrei star ferma oltre un anno?». Il suo difensore, il professor Carlo Taormina, è tranchant. «Sembra di stare nell’Ottocento», dice al nostro giornale. «Il codice deontologico è fatto di norme fumose, moraleggianti. Si parla di decoro e di comportamento adeguato anche al di fuori della professione. E poi la normativa di riferimento», conclude, «soffre di una fortissima discrezionalità che consente a una commissione di giudicare fatti analoghi in modi completamente diversi. L’esatto contrario del diritto».
Sulla stessa lunghezza d’onda l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale. «I consigli distrettuali di disciplina sono diventati come dei tribunali dell’Inquisizione dove il potere dei rapporti personali e delle correnti di appartenenza sovrasta e annichilisce qualsiasi parvenza di correttezza e di legittimità istituzionale. Il governo dovrebbe abolirli», attacca. Secondo Tirelli, «sono stati attivati procedimenti penali per colpire il portafoglio clienti di avvocati molto noti che si sono visti “derubati” letteralmente dei propri assistiti, alcuni dei quali sono poi finiti nell’orbita dei giudici della disciplinare». E adesso chi difende i difensori?