Lega in Veneto, il retroscena sul rifiuto di Zaia all’appoggio a Marcato: «Politica fuori dalla giunta»
Il grande freddo a Palazzo Balbi. Nell’imminenza del congresso leghista, mentre si apprestava a sfidare i luogotenenti di Matteo Salvini, Roberto Marcato sollecitò l’endorsement di Luca Zaia e degli assessori regionali, incassando un imprevisto rifiuto.
Confermata da più fonti (e fin qui mantenuta rigorosamente riservata), la circostanza avrebbe favorito il successo di Alberto Stefani, incrinando il rapporto di stretta fiducia vigente, fino ad allora, tra il governatore e il popolare “Bulldog”. Quest’ultimo, interpellato al riguardo, oppone uno stizzito “no comment”, ma le testimonianze affiorate consentono ora di ricostruire con sufficiente chiarezza la vicenda. Che risale alla fine di aprile, allorché – conclusa la prolungata stagione commissariale – Marcato rompe gli indugi e formalizza la volontà di concorrere alla segreteria.
Il suo avversario, però, è un osso duro: gradito a via Bellerio, è spalleggiato da potenti quali Lorenzo Fontana, Massimo Bitonci e Andrea Ostellari; non bastasse, in veste di commissario uscente, controlla de facto l’apparato del partito.
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Per riequilibrare le sorti, allora, l’assessore allo Sviluppo economico si appella all’amministrazione del Veneto e alla prima seduta utile, introduce l’argomento congressuale. Chiede ai colleghi di giunta quale sarà il loro atteggiamento: apprezzerei molto la sottoscrizione della mia candidatura da parte vostra, fa sapere. L’allusione corre alle firme (sessanta) richieste dal regolamento a sostegno di chi aspiri alla leadership: poco più di una formalità ma nel caso di specie non è il numero dei potenziali supporter a pesare, quanto la loro influenza politica.
Colto di sorpresa (almeno in apparenza), Zaia lascia la parola agli assessori. Cristiano Corazzari, Federico Caner, Manuela Lanzarin, Gianpaolo Bottacin, Francesco Calzavara – in rapida successione – esprimono un orientamento favorevole. Dubbiosa, invece, la vicepresidente Elisa De Berti; le sue deleghe (Infrastrutture, Lavori pubblici, Mobilità) impongono contatti quotidiani con il ministero retto da Matteo Salvini e la prospettiva di inimicarselo, contrastando il suo pupillo, sembra preoccuparla: «Non vorrei che la nostra azione risultasse danneggiata dalla battaglia tra correnti», conclude.
Parole colte al volo da Zaia, che invita alla riflessione – «Dobbiamo valutare bene la questione, fin qui abbiamo sempre tenuto la politica fuori dall’istituzione» – e, timoroso soprattutto degli effetti dello scontro sulla compattezza del gruppo consiliare di maggioranza, aggiorna il confronto.
Trascorre così una settimana e alla riunione del martedì mattina al Balbi, è lo stesso presidente a tornare sul punto, dichiarandosi contrario ad impegnare l’amministrazione su questioni interne alla Lega: questa è la mia personale opinione – aggiunge – ma ciascuno è libero di agire come meglio crede.
Silenzio tombale. Anche Marcato tace, convinto che i colleghi, in parte almeno, non gli negheranno una firma solidale. Accade invece l’imprevedibile. A Treviso, i bossiani irriducibili – da Gian Paolo Gobbo a Dimitri Coin – rompono l’alleanza anti-salviniana e candidano alla segreteria il redivivo Franco Manzato, invitando al passo indietro l’attonito Bulldog. Che malcelando la furia (è un militante passionale, sì) rinuncia tour court alla corsa per trincerarsi in uno sdegnato silenzio.
Il resto è storia nota. Il 24 giugno, a Padova, Stefani sbaraglia agevolmente Manzato, ai malcapitati assessori è negato persino il diritto al voto e il tam tam del Carroccio, amplificato dalle dichiarazioni dell’eurodeputato Gianantonio Da Re, accende la fantasia dei teorici del complotto, lesti a tratteggiare un patto segretissimo stipulato sull’asse Milano-Venezia-Roma.
Le condizioni? Via libera ai salviniani nel partito veneto in cambio dell’impegno ad approvare la sospirata autonomia differenziata in Parlamento. A sancire l’accordo – chiosano senza esitazioni – la nomina di Stefani a presidente della Commissione bicamerale per il federalismo. «Un rappresentante di spessore, competente e motivato», plaudirà Zaia, scampato al pericolo dell’isolamento. A distanza, Marcato medita la riscossa e si sfoga con gli amici: io sono un ribelle, loro agiscono dentro il sistema, logico che mi abbiano tagliato fuori, adesso comincerò a guardarmi intorno.Settembre, andiamo. È tempo di migrare.