Il Premio Nobel Annie Ernaux: «La memoria è conoscenza»
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foto da Quotidiani locali
«Credo che la memoria sia una forma di conoscenza». Il Premio Nobel 2022 Annie Ernaux ne ha utilizzata di anamnesi nei suoi romanzi, intrecciandola con la consapevolezza di ciò che stava accadendo in quel momento.
Svariate sono le tematiche, perlopiù personali, che la scrittrice ha disseminato nei suoi romanzi. Una lettera alla sorella mai conosciuta ne “L’altra figlia”, l’aborto in “Gli armadi vuoti”, la solitudine delle esperienze amorose ne “Ce qu'ils disent ou rien”, la monotonia del matrimonio ne “La donna gelata”.
Sabato, in un Teatro Verdi sold out, Alberto Garlini, curatore di pordenonelegge, ha consegnato alla scrittrice francese il sedicesimo Premio Crédit Agricole La storia in un romanzo.
Nei suoi libri lei ha ispezionato tutte le varie sfumature dei sentimenti. Se dovesse fare un consuntivo della sua esistenza cosa vedrebbe, voltandosi indietro?
«Io non rifletto mai sul mio vissuto, semmai su quello in generale. Mi considero attraversata dalla storia, da quello che succede nel mondo e c’è la mia esperienza che subisce il passaggio. Non riesco e non posso fare un bilancio. Ogni qualvolta mi siedo a comporre, so che devo cercare una formula o un soggetto accattivante e questo, per me, va oltre la sfera del personale».
Nel 2018 vinse il Premio Hemingway a Lignano Sabbiadoro. Che ricordi ha della nostra Terra friulana e, soprattutto, dove colloca lo scrittore americano nel suo gradimento letterario.
«Arrivai in una regione che non conoscevo affatto. Rimasi piacevolmente sorpresa da un incessante via vai di turisti in cerca del piacere e del sole. Fui felice di vincere questo riconoscimento dedicato a Hemingway, un grande artista che fu importantissimo per la mia giovane formazione letteraria: da “Per chi suona la campana” ad “Addio alle armi”. La sua scrittura, per assenza di lirismo ed enfasi e per la precisione dei dialoghi, è stata fondamentale per la mia crescita culturale».
C’è una discussione in atto sulle forme della narrazione. Cosa secondo lei risulta essere più energizzante? La forza del vissuto o la distanza dalla realtà?
«È un dibattito che dura da una cinquantina d’anni. Mi piace citare una frase che ben rappresenta una sorta di certezza: “Il romanzo è più vicino alla verità della fotografia”. Ma io credo che non sia tanto una questione di verità quanto di realtà. Esiste in letteratura questa problematica. Anche il romanziere che inventa mette sempre dentro molto di sé. È la postura che cambia. Io, per esempio, quando scrivo tendo a “scendere dentro me stessa”, mentre se leggo ho l’impressione che l’autore si stia proiettando fuori».
Nella sua lunga carriera ha sempre elargito una notevole rilevanza alla figura femminile. Ha un modello a cui si è ispirata?
«Ispiratrici ce ne sono state eccome. Non serve pensare più di tanto per dirle subito un nome: Simon De Beauvoir. Ma, attenzione, non come modello di scrittura, no. Lei per me è stata un modello di vita. A diciotto anni avrei tanto voluto essere lei, una donna che aveva studiato a lungo. Una meraviglia. Era davvero quello che cercavo così come la sensazione di libertà che, per allora, rappresentava molto- E che dire del suo inusuale e fantastico rapporto con Jean-Paul Sartre, un legame che vinse sul tempo? In letteratura c’è un nome su tutti: Virginia Wolf, ma anche Flaubert è stato importante per me. Se poi ci addentriamo nell’argomento “modello” vien fuori che la De Beauvoir non era della mia stressa estrazione sociale e non aveva figli. Quando io rimasi incinta, addio Simon, mi staccai dall’idea di punto di riferimento».
Nelle “Memoria di una ragazza” una diciottenne scopre se stessa l’amore, il sesso, il giudizio degli altri, la fatica di essere giovani. Lei si propose di vendicare la sua razza. C’è riuscita?
«No, non credo proprio di avercela fatta. Sono arrivata dove ho potuto. Pensando sempre alla mia famiglia e al luogo dove sono cresciuta. Mi vengono in mente due libri: “Il posto” che evoca mio padre e “Una donna” dedicato a mia madre, che hanno fatto conoscere alla gente come si sta da quella parte del mondo popolata dai dominati. Non avrei mai potuto voltare le spalle alla mia storia».