C’è un problema con l’identità dei sex workers che utilizzano Meta Verified
Per sfruttare i vantaggi dell'abbonamento a Meta, è necessario registrarsi con il proprio documento di identità. Ma questa cosa potrebbe contrastare con la libertà dei sex workers
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Ha senso sfruttare un vantaggio digitale per poter essere penalizzato, poi, nella tua vita reale? È quello che si sono chiesti, ormai da qualche tempo, i sex workers che volevano affidarsi ai servizi di Meta Verified. Si tratta di quel particolare abbonamento all’azienda proprietaria di Facebook e di Instagram che permette agli utenti di avere alcuni vantaggi, derivanti dal fatto di essere account verificati attraverso i propri documenti validi all’interno dello stato di residenza. Non un abbonamento da poco: Meta prevede un pagamento di 14,99 dollari al mese per la versione mobile e un pagamento di 11,99 dollari al mese per la versione desktop. Praticamente, chi sottoscrive questi abbonamenti può avvalersi di un’assistenza particolare e personalizzata di Meta, può ottenere dei vantaggi esclusivi per i suoi contenuti e può – ovviamente – fregiarsi della spunta blu di utente verificato. Un problema sorge nell’intersezione tra Meta Verified e i sex workers: spesso questi ultimi hanno interesse a utilizzare nomi d’arte o – comunque – delle identità diverse da quelle della loro vita reale, anche solo per non dover essere investiti da pregiudizi e offese di ogni tipo. Dunque, rivelare la propria identità per servirsi dei vantaggi di Meta Verified potrebbe significare entrare in un vero e proprio vicolo cieco.
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Meta Verified e sex worker, il grande dilemma
Nel nome utente dell’account di un sottoscrittore di Meta Verified, infatti, compare il proprio nome e cognome, quello che viene inserito sul documento d’identità. Al massimo, possono essere tollerati dei diminutivi del nome di battesimo o – al massimo – il secondo nome. Questo significa che il sex worker deve pubblicare le proprie generalità, alcune informazioni personali, l’indirizzo della propria abitazione. E che queste informazioni sono reperibili al pubblico dei followers.
Da qui, il bivio: se a un utilizzo di Meta Verified corrisponde esattamente un aumento dell’engagement del proprio account, della circolazione dei propri contenuti e dei relativi guadagni con le sponsorizzazioni native (nel caso dei content creator, quest’ultimo aspetto è particolarmente preso in considerazione), è vero anche che questo significa una maggiore esposizione dei propri dati personali. Quest’ultima è il prezzo da pagare anche per l’eliminazione, collegata all’istituzione di un profilo Meta Verified, di tutti quegli account civetta o di quei profili falsi da cui le personalità pubbliche sono spesso bersagliate. Certifichi, attraverso il tuo documento, di essere tu, in carne e ossa, elimini bot e account falsi che si spacciano per te, ma accetti anche il compromesso che la tua vita reale e quella virtuale saranno indelebilmente interconnesse.
E questa è una limitazione di libertà eccessiva per chi lavora nell’ambito dei contenuti per adulti. Anche perché indietro non si torna: una volta che hai deciso di sottoscrivere un abbonamento a Meta Verified, l’unico modo di cambiare nome utente è quello di effettuare una nuova sottoscrizione (e di sottoporsi a un nuovo processo di verifica che possa certificare l’effettiva corrispondenza tra il nuovo nome e la tua identità). Secondo alcuni sex workers queste limitazioni rappresentano un rischio eccessivo in una società in cui, sempre più spesso, si viene etichettati in base alle abitudini e alle preferenze sessuali. Per questo motivo, hanno chiesto a Meta di essere un po’ più elastica con i nomi degli account e di rafforzare la sicurezza sul trattamento dei dati personali che vengono forniti dagli abbonati. Ma, al momento, non c’è una soluzione efficace.
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