Feltri: «Basta balle, parliamo come mangiamo»
Sulfureo, anticonformista come sempre, allergico alla retorica. La nuova battaglia del giornalista più amato (e più odiato) è in difesa delle parole quotidiane, ormai «pastorizzate» da una falsa uguaglianza. Ne scrive in un libro e dice a Panorama: «Mi piace chiamare le cose con il loro nome».
«Con le parole si può giocare ma non si scherza». Vittorio Feltri osserva l’orizzonte e, come il duca d’Auge ne I fiori blu di Raymond Queneau, lo trova poco chiaro. Perché la lingua è cosa seria e noi la stiamo distruggendo a colpi di politicamente corretto. «Uno dei primi segni di un potere totalitario e liberticida è il controllo del linguaggio», spiega il prestigioso giornalista, oggi direttore editoriale de Il Giornale. Vedendo edulcorare o sciogliere nell’acido dal perbenismo conformista termini come «zingaro», «bidella», «frocio» e perfino «vecchio», ha deciso di dare l’allarme. E ha scritto il libro Fascisti della parola (Rizzoli) per denunciare l’aggressione più insulsa della nostra storia: quella al dizionario.
Direttore, c’è la tendenza a mettere il burqa alle parole. Perché è necessario ribellarsi?
L’imposizione della censura di alcuni termini è assurda, in questo modo stiamo distruggendo la lingua. Già l’italiano è un latino sbagliato, così creiamo i presupposti per un impoverimento culturale. A me piace chiamare le cose con il loro nome. Del resto, si diceva parla come mangi.
Chi sono i fascisti del linguaggio?
La sinistra moralista, vittima delle mode, ha smarrito morale ed etica ma si concentra sull’uso dei vocaboli e dei suffissi facendone una malattia. Se aggiungi l’astina alla vocale «o», se declini tutto al femminile, se anziché dire «ministro» dici «ministra» - sebbene questo ci rimandi subito alla «minestra» -, allora sei una bella persona. Altrimenti vieni etichettato quale maschilista tossico e pure farabutto.
Quali sono le parole proibite?
«Negro» è la più proibita di tutte. Ne sa qualcosa Fausto Leali, espulso dal Grande Fratello Vip per aver messo nella stessa frase «negro» e «razza». Per fortuna il fiume Niger non lo sa e scorre senza scandalizzarsi. Ma dov’è l’offesa? La mia generazione ha sempre usato la frase «lavorare come un negro» per indicare un’attività particolarmente faticosa, con riferimento al lavoro nelle piantagioni ai tempi dello schiavismo in America. Trattasi di Storia, non di manifestazione di disprezzo.
Lei dice omosessuale o gay?
Evito, non so più come definirli. Non sono omofobo, non mi interessa ciò che succede fra le lenzuola degli altri, faccio già fatica a occuparmi delle mie. Ma sono in imbarazzo. Ricordo che quel genio di Paolo Isotta, a chi lo apostrofava come gay, rispondeva con orgoglio: «Io non sono gay, sono ricchione».
Da dove deriva la passione per la parola anodina, senza sapore?
Dal conformismo dell’Occidente omologato e appiattito. Perfino Vladimir Putin l’ha capito ci ha provato, non chiamando l’invasione dell’Ucraina «guerra» ma «operazione militare speciale». Però ha sparato ugualmente.
Perché lei è così sensibile all’uso del dizionario?
Perché l’ho frequentato fin da piccolo. Allora ero un capoccione e non volevo andare all’asilo. Così mia mamma, che doveva lavorare perché il papà era morto, mi affidava a sua sorella, la zia Tina. Lei aveva l’abitudine di leggere il giornale ed io, sentendomi escluso, protestavo. Così mi sedevo su uno sgabellino e le chiedevo: questo cosa vuol dire? Dopo sei mesi leggevo, dopo altri sei scrivevo. La vocazione del giornalista mi è venuta allora. Invece che andare all’asilo ho fatto il praticantato con la zia Tina.
Oggi le zie sembrano salve, ma «papà» e «mamma» sono considerati fuori moda. Non si possono più pronunciare, va per la maggiore il genitore unico.
Se pronunci o scrivi mamma e papà invece di genitore uno e due sono cavoli amari. Tuttavia non posso fare a meno di rilevare che è semmai discriminante la distinzione tra un genitore numero uno e un altro numero due. Chi dei due sarà il numero uno? Numerare le persone è un modo subdolo di annullare le identità. Ma per me c’è qualcosa di più intimo.
Ce lo rivela?
Sono orfano di padre da quando avevo sei anni. Sono cresciuto con gli insegnamenti della mamma e sono fortemente convinto che l’educazione vera avvenga in famiglia, non a scuola. Negli anni quell’educazione ha perso valore perché le famiglie sono meno coese. Un tempo a pranzo o a cena si stava insieme e a tavola si parlava di tutto. Adesso il papà sta davanti alla Tv, la mamma «sminestra» e i figli sono attaccati allo smartphone. Dove vuoi andare?
Feltri ci parla dall’ospedale dove sta facendo dei controlli. Improvvisamente entra qualcuno nella stanza. «È arrivato a trovarmi Mario Draghi, che piacere. Possiamo risentirci fra una mezz’ora? Grazie»... Poi Feltri richiama, si riparte.
Direttore, ma lo sa che nel libro cita 12 volte Laura Boldrini?
Per forza, è una delle principesse delle fesserie di genere. Ma un giudice è un giudice, non una giudicia. La lotta al vocabolario è anche velleitaria. Ricordo il Festival di Sanremo, che un tempo era il festival della canzone italiana mentre oggi è il festival delle polemiche all’italiana, del 2021. Una protagonista finita nell’occhio del ciclone femminista fu Beatrice Venezi, che si definì «direttore d’orchestra» anziché «direttrice». Capirete che dramma, ma la signora fu massacrata.
Per il buon progressista è disdicevole pronunciare le parole «patria» e «patriota».
Ami la patria? Benissimo, sei un criminale. Eppure il senso di patria ci è stato insegnato da bambini. Un sinonimo è nazione, ma adesso facciamo la guerra anche ai sinonimi. Distorcere il linguaggio è un segno di ignoranza abissale; «populista» è diventato un vocabolo ingiurioso. «Popolo» dovrebbe essere una parolaccia, eppure la Costituzione dice che è «sovrano» in democrazia.
E per favore non si azzardi a dire «terrone», ogni tanto le scappa.
Mai stato un insulto, deriva da terra. Noi bergamaschi siamo polentoni ma quando ce lo dicono nessuno osa offendersi. Ci piace la polenta, la cuciniamo, la mangiamo. Che problema c’è? Se qualcuno vive male una parola, è per una concezione errata dell’interpretazione. Mi hanno anche accusato di aver offeso Andrea Camilleri.
Oltre al politicamente corretto, chi è responsabile dell’imbarbarimento della lingua?
La Chiesa, che ha abolito il latino dalle preghiere, provocando un tonfo nella lingua italiana che dal latino deriva. Quando devo smascherare un finto studioso gli chiedo la consecutio temporum, che non è una conseguenza dei tempi...
Anche in molti giornali il politicamente corretto è una religione.
Forse non c’è più l’eskimo in redazione, per citare quel libro, ma la mentalità è sempre quella. Intanto nello scandalo del Calcioscommesse siamo stati bruciati da Fabrizio Corona. Per lui è stato facile, frequenta un mondo di poche luci e molte ombre che non è il nostro. Quella vicenda è la dimostrazione della stupidità umana. Non credo alla ludopatia, malattia sociale molto seria; mi sembra più l’incapacità morale di tenere la rotta da parte di ragazzotti arricchiti.
Che giudizio dà del governo di Giorgia Meloni?
Estremamente positivo su di lei, ma ho parecchie riserve sulle persone che la circondano. La pensa così anche Draghi. Io sono consigliere regionale in Lombardia e non immaginavo che il livello culturale dei politici fosse così basso.
C’è un’altra donna sotto i riflettori, Elly Schlein. Il nuovo corso è utile al Pd?
Sì, per mandarlo in malora. Non riconosco più la sinistra, una volta si occupava di battaglie anche di civiltà. Oggi si compatta sul salario minimo, una fregnaccia. Del salario minimo dovrebbero occuparsi i sindacati, che a loro volta non fanno più il loro mestiere.
Eppure il nostro Paese ha un’immagine positiva all’estero.
Gli altri ci valutano per la classicità, che comincia dalle parole, dal rispetto della lingua. Partendo dall’impero romano e da inventori come Guglielmo Marconi, che non era laureato, possiamo ribadire che noi italiani non siamo proprio delle schifezze. Abbiamo grandi personaggi ai quali ispirarci, invece siamo solo capaci di dire «Piove, governo ladro» sui social. Mi sembra un tantino riduttivo. Però parlo così perché sono vecchio.
Altro termine dal quale girare alla larga.
Vero. Ci si scandalizza per il razzismo, ma il più evidente è nei confronti dei vecchi, che secondo intellettuali, economisti e nipoti fanno schifo e devono morire. Facciano solo il piacere di lasciare in eredità la pensione.