Il Comune di Monfalcone avvia l’iter per gestire la casermetta di Sablici e i bunker
foto da Quotidiani locali
MONFALCONE Un contenitore dietro l’altro. E via. Prende corpo in questi giorni un iter complesso per il trasferimento, a titolo gratuito, della casermetta Sablici su un’area globale di 22 mila metri quadrati: il Comune vuole pigliarsi l’emblema della Guerra fredda e i suoi bunker dallo Stato, che fin qui li ha lasciati deperire, per dare gambe a un nuovo tassello del circuito di visite sulla storia dei luoghi monfalconesi, messi a fuoco nel grande Parco del Carso.
Giusto tra nove giorni s’inaugurerà invece in piazza il museo medievale nella “pancia” del municipio, che ha restituito nel corso della sua ristrutturazione lo spadone, vasellame e attrezzi artigianali del 1300 estratti in 92 complessivi pezzi dalle viscere delle fondazioni della palazzina, datata 1861. Poi si affiancherà la Galleria rifugio antiaereo della Seconda guerra mondiale e ora si spera, più avanti, il compendio ex militare sul Carso. Assieme alle vicine opere, cioè ai manufatti interrati tipo “bunker”, risalenti agli anni della Guerra fredda, che costituivano una delle fortificazioni permanenti della Fanteria d’arresto, collocate a difesa del confine del 1947.
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Ma cosa ci vuole fare, l’ente? La delibera giuntale sul capitolo è stata portata nei giorni scorsi dalla sindaca Anna Cisint all’attenzione dei colleghi, che l’hanno votata (assente Stefano Vita), e parla di un recupero finalizzato allo sviluppo turistico-ricettivo. Cioè al riatto in punto di sosta per cicloturisti o escursionisti, pure a cavallo, e in un centro informativo ai fini didattici. Non sfugge, infatti, la posizione logistica del sito che lo pone al centro di diversi collegamenti ai sentieri. Per questo l’amministrazione, ritenendo di poter avviare l’iter per l’acquisizione dell’immobile da ristrutturare, ha inoltrato una richiesta di finanziamento alla Regione, in considerazione dell’attrattiva che tale edificio e i vicini manufatti militari potranno avere sui fruitori del Parco del Carso.
Iter non banale, anzi definito «complesso», poiché prevede il coinvolgimento della Commissione paritetica e l’emanazione ad hoc di un decreto legislativo di trasferimento. A ogni modo le disposizioni prevedono tale possibilità a titolo non oneroso, con il passaggio del bene dallo Stato alla Regione, per la successiva cessione al Comune o altri enti pubblici. Vale per i beni statali nel patrimonio disponibile del Paese e nel demanio storico artistico in gestione alla Direzione regionale dell’Agenzia del demanio. L’obiettivo però deve essere quello, come sottolineato nella delibera, di assicurare e sostenere la loro conservazione, destinandoli ad attività che siano strumentali al raggiungimento di finalità di interesse pubblico. Pilastro dell’operazione, lo specifico protocollo d’intesa stipulato il 14 maggio 2019 tra la Regione e l’Agenzia del demanio, che consente una proficua collaborazione tra le parti in sede di istruttoria, fermo restando la necessità del parere che ciascun Ministero coinvolto deve di volta in volta rilasciare.
Nelle intenzioni del Comune, comunque, per ottimizzare l’intervento sarà necessario provvedere a una «pulizia generale di tutta l’area boschiva che rientra nel terreno di pertinenza dell’edificio, con la demolizione delle recinzioni attualmente presenti, la messa in sicurezza dei bunker e dei manufatti militari e la ristrutturazione completa dell’edificio». A ogni modo gli interventi edilizi «non prevedono modifiche alla morfologia e alle strutture della costruzione», costituita da murature portanti in laterizio, con tetto in solaio di laterocemento. Altresì in programma il «rifacimento di tutte le finiture interne ed esterne, nonché la realizzazione di impianti in conformità alle funzioni e prestazioni richieste dalla nuova destinazione d’uso». Particolare cura, si legge sempre nella scheda allegata alla delibera, «al ripristino delle parti esterne dell’edificio per migliorarne l’inserimento ambientale» e alla «sistemazione delle aree verdi, con interventi di eliminazione delle piante infestanti, cura del sottobosco, sistemazione dei pastini e terrazzamenti con materiale lapideo-calcareo esistente sul posto». Ciò in un’ottica di mantenimento del loro caratteristico valore ambientale.
«Pezzo dopo pezzo – commenta Cisint –, recuperiamo la storia, cultura e tradizione di Monfalcone, che diventa così sempre più attrattiva. Un territorio da scoprire perché è una piccola perla che si merita d’esser apprezzata e vuole diventare una voce importante della storia e della natura del Friuli Venezia Giulia».