Caso Indi Gregory: quando vivere è solo una questione di prezzo
La vicenda di Indi ci mette davanti a una tragica realtà: l’economia che detta la possibiltà di venire curati.
Indi, otto mesi, è stata condannata a morte da un giudice. È stato lui a decidere di staccare le macchine, contro la volontà dei suoi genitori. Indi sorrideva, piangeva, sgambettava, stringeva le mani di mamma e papà. Ma era malata. E secondo il giudice soffriva troppo. Come faccia un giudice a sapere quanta sia la sofferenza sopportabile, è difficile dirlo. Così come è difficile dire in quale codice si fissano i parametri della vita che vale la pena di essere vissuta. Così come è difficile dire chi ha stabilito che un funzionario dello Stato può conoscere il bene della bambina più di chi l’ha messa al mondo. Ma tant’è: per il giudice Indi doveva smettere di soffrire. E così, per non farla più soffrire, l’ha condannata a morte per soffocamento.
Il giudice ha ordinato di fermare le macchine che aiutavano Indi a respirare. E l’hanno lasciata lì a spegnersi in una lunga agonia. Sempre per non farla soffrire, ovviamente. C’era un altro ospedale che aveva chiesto di prendersi cura di lei: il Bambin Gesù di Roma, struttura altamente qualificata, con medici preparatissimi. Il governo italiano aveva anche dichiarato Indi cittadina italiana per agevolare le pratiche. I genitori erano pronti a fare tutto il necessario per il trasferimento. Ma il giudice ha detto di no. La bambina rimane in Inghilterra e muore in Inghilterra, ha ordinato. E che cosa dia a un giudice la facoltà di togliere anche l’ultima speranza a due genitori immersi nella tragedia, è difficile da dire. In ogni caso la bambina è rimasta in Inghilterra e lì è morta.
Fra l’altro il giudice, per decidere della vita di una bambina, si è accontentato del parere di una sola équipe medica, quella del Queens Medical Center di Nottingham, l’ospedale dove la piccola è ricoverata fin dalla nascita. Strano, no? A volte, anche per farsi togliere una cataratta, ci si fa vedere da almeno due specialisti. Possibile che prima di decidere di condannare a morte una bimba non si ritenga necessario un secondo parere? Secondo il Queens Medical Center non c’era proprio possibilità di tenere in vita Indi. Sia chiaro: a) sicuramente quei medici hanno ragione; b) non voglio credere al papà di Indi che imputa la loro fretta al desiderio di nascondere errori commessi; e c) la malattia era di certo gravissima. Ma la medicina non è una scienza esatta. E si sa che anche i medici sbagliano.
Sapete chi era Tafida? Tafida Raqeeb aveva 5 anni nel 2019 quando i medici del Royal London Hospital stavano per staccarle la spina. Anche per lei non c’era speranza, anche per lei i genitori insorsero, anche per lei decise un tribunale. Il tribunale però diede a Tafida una seconda possibilità. La ricoverarono al «Gaslini» di Genova. Oggi, dopo quattro anni, è ancora viva. Non è guarita, certo. Non guarirà mai. Ma dobbiamo sopprimere tutte le persone che non possono guarire? Davvero è impossibile curarle, cioè prendersi cura di loro? Assisterle? Aiutarle a superare le crisi e le difficoltà? Non ne vale la pena? E chi lo decide qual è il limite per cui vale la pena vivere? Un giudice?
Certo: mantenere in vita una bimba così malata richiede un certo investimento. E lei al contrario non potrà produrre niente. Si rivelerà solo un costo. E qui arriviamo al punto. Io penso infatti che sia questo il vero motivo per cui Indi è stata condannata a morte: non per ridurre il dolore, ma per ridurre le spese. Pensateci: oggi abbiamo mezzi tecnici e conoscenze scientifiche per salvare molte più persone e per mantenerle vive molto più a lungo. Ma possiamo permettercelo? Con tutte? E per quanto tempo? Le risorse non sono illimitate. E quindi bisogna scegliere. Ma chi sceglie? Il giudice?
Preparatevi perché se passa questa logica presto troveremo un giudice che dirà: meglio non far soffrire (come Indi) pure i malati gravi i disabili, gli anziani, tutte le persone costose e non produttive. Dirà che, sempre per il loro bene, è meglio sopprimerle. E forse qualcuno già lo sta dicendo: un ministro canadese, Carla Qualtrough, qualche tempo fa ha ammesso che in alcune parti del Canada è più facile ottenere l’eutanasia che una sedia a rotelle. Qualcuno dirà: i giudici decidono in base alla scienza. Ma ci si può fidare della scienza? Davvero?
Di quella che durante la pandemia ha taroccato i dati per spingere i vaccini? Di quella che ha infamato il povero professor Giuseppe De Donno, che curava il Covid con il plasma, solo perché la cura al plasma non era conveniente per il business di Big Pharma? La scienza, purtroppo, si è piegata al calcolo economico. Ed è in base a un calcolo economico che è stata condannata a morte Indi. Ed è in base a un calcolo economico, temo, che allo stesso modo presto saranno eliminati tanti altri soggetti deboli perché sono costosi e improduttivi. E dunque, inevitabilmente, «soffrono troppo». Parola di giudice.