La guerra mondiale dei microchip
Questi fondamentali elementi tecnologici sono al centro dello scontro commerciale che vede da un lato StatI Uniti, Taiwan e Corea del Sud, dall’altro la Cina. Che fa l’Europa? Entro il 2030 investirà oltre 100 miliardi di euro nel settore. E l’Italia, all’avanguardia nei circuiti integrati, può giocare un ruolo significativo.
Il muro alzato dal presidente americano Joe Biden a difesa della tecnologia Usa per produrre semiconduttori avanzati, è stato bucato. Con un’abile strategia le aziende asiatiche, a cominciare da quelle cinesi, sono riuscite ad aggirare il divieto stabilito da Washington per impedire l’export delle attrezzature statunitensi indispensabili per i chip di nuova generazione. Lo scontro tecnologico ed economico tra Stati Uniti e Cina si è arricchito in questi giorni di un’altra tappa. Stando a quanto emerso dal rapporto annuale della Us-China Economic and security review commission, gli importatori aggirano il divieto perché affermano che l’apparecchiatura acquistata verrà utilizzata su una linea di produzione più vecchia e non per fabbricare semiconduttori avanzati di 14 nanometri, quale è il limite posto dal Dipartimento di commercio Usa. Insomma, fatta la norma trovato l’inganno. È stato così risolto il rebus di come il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei sia stato in grado di produrre un chip avanzato da 7 nanometri per alimentare il suo smartphone Mate 60 Pro assemblato dal produttore cinese di chip Smic, nonostante le restrizioni all’export.
Entrambi questi gruppi erano stati anche colpiti da precedenti restrizioni commerciali (nel 2019 e nel 2020), quindi, in teoria, sarebbe stato molto difficile per le aziende americane vendere loro tecnologie strategiche. Questo episodio la dice lunga sul livello di competizione a cui sono giunti Stati Uniti e Cina e sul carattere strategico dei semiconduttori. Secondo le stime della Semiconductor industry association (Sia), la potente lobby americana, le vendite globali sono destinate a toccare i 602 miliardi di dollari nel 2024, mentre Fortune Business Insights prevede che nel 2029 toccherà 1.380 miliardi. Un altro particolare aiuta a comprendere ancora meglio. Gli Stati Uniti, per ostacolare l’accesso della Cina agli strumenti avanzati di produzione di chip, hanno convinto i due alleati, Giappone e Paesi Bassi, a loro volta produttori di apparecchiature per realizzare semiconduttori, a imporre delle proprie restrizioni sulle esportazioni di queste tecnologie. Ma la Cina non si è fatta cogliere impreparata e approfittando del ritardo tra l’entrata in vigore del divieto americano (ottobre 2022) e di quelli giapponese e olandese (rispettivamente a luglio e settembre del 2023) nel frattempo ha fatto incetta di attrezzature essenziali. Cosa sono i semiconduttori e come mai sono così strategici al punto da mettere una contro l’altra le potenze mondiali? Stiamo parlando di materiali fondamentali per realizzare qualsiasi componente elettronica e soprattutto chip e microchip. Li troviamo nelle carte di credito e negli smartphone, nei tablet e nei computer, negli elettrodomestici avanzati e nelle auto ma sono altrettanto utilizzati nel settore della sicurezza e della Difesa. Questa ampia gamma di applicazione, spiega l’importanza per economie tecnologicamente avanzate.
Secondo il rapporto americano sopra citato, tra gennaio e agosto 2023 la Cina ha importato 3,2 miliardi di dollari di macchine per la produzione di semiconduttori avanzati dai Paesi Bassi, con un aumento del 96,1 per cento rispetto agli 1,7 miliardi di dollari dello stesso periodo del 2022. Le importazioni cinesi di apparecchiature analoghe su scala globale sono state pari a 13,8 miliardi di dollari nei primi otto mesi del 2023. Pechino sta investendo pesantemente in questa industria. Le cinesi ChangXin Memory Technologies, Cxmt, e Yangtze Memory Technologies Co Ltd, Ymtc, hanno raccolto miliardi di dollari di investimenti. Ymtc ha lanciato il Nand 3D di quarta generazione, un chip a 232 strati che ha stabilito un nuovo record per la densità di archiviazione dei dati e per questo è stato subito colpito dalle sanzioni americane.
Apple, che avrebbe voluto impiegare tale prodotto per l’iPhone, ci ha rinunciato. L’obiettivo della Cina è l’autonomia rispetto agli Stati Uniti. Il panorama attuale vede il 75 per cento della capacità produttiva globale di semiconduttori concentrata in Cina e nell’Asia orientale mentre il 100 per cento di quella di semiconduttori avanzati è localizzata a Taiwan (92 per cento) e Corea del Sud (8 per cento). Pechino prevede di raggiungere il 70 per cento di autosufficienza al 2025. Quali saranno le mosse strategiche nel prossimo futuro, lo spiega bene Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e membro del comitato scientifico del Policy Observatory della Luiss: «La leadership di Pechino sul comparto dei metalli e delle terre rare verrà sempre più utilizzata come strumento di ritorsione contro le restrizioni sui chip varati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati». Il settore fa gola anche all’India che ha avviato la costruzione di un primo impianto per la produzione di microchip con vendite previste per fine 2024.
C’è pure il placet degli Usa che hanno interesse a intensificare la collaborazione con l’India in chiave anti-Dragone. Anche l’Europa vuole avere un ruolo di primo piano. È recente l’annuncio del commissario europeo per il Mercato unico, Thierry Breton, che la Ue investirà entro il 2030 oltre 100 miliardi di euro per portare la produzione di questi materiali al 20 per cento della capacità mondiale. Il Chips Act, un regolamento che mira a creare le condizioni per lo sviluppo del settore e attrarre investimenti, approvato lo scorso luglio dal Consiglio Ue, ha stanziato finora 43 miliardi di investimenti pubblici e privati. Ci sono già in campo 70 progetti in 19 Paesi. Il colosso di Taiwan, TSMC nel 2024 avvierà in Germania, a Dresda, la costruzione del suo primo impianto per la produzione di chip che sarà pronto nel 2027. Sempre a Dresda, la società tedesca Infineon ha avviato la costruzione di una fabbrica di chip da cinque miliardi di euro. Anche Intel investirà in Germania per due aziende di wafer per i chip con sede a Magdeburgo. STMicroelectronics e GlobalFoundries puntano sulla Francia, a Grenoble, con un progetto finanziato per 2,9 miliardi di euro da fondi pubblici.
E l’Italia? La fabbrica STMicroelectronics di Catania è la prima in Europa a integrare in un unico sito l’intero processo produttivo dei chip al carburo di silicio che sono dieci volte più resistenti di quelli al silicio e i più richiesti dall’industria dell’auto elettrica. Ad Agrate, in Brianza, si trova un altro sito STM, l’unico impianto in Italia e tra i pochissimi in Europa, per i semiconduttori a 300 millimetri, una vera eccellenza tecnologica. C’è poi la partita aperta con Intel. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, di recente ha spiegato che l’Italia è «disponibile a un investimento da parte di Intel e accoglierebbe con favore anche altri produttori di chip». Inoltre è pronto anche un contributo pubblico. Il tema sul piatto è la realizzazione di un evoluto impianto di packaging e assemblaggio di semiconduttori, come parte del più ampio investimento portato avanti da Intel in Europa. Intanto è nata a Pavia la Fondazione Chips.it, il Centro italiano per il design dei circuiti integrati a semiconduttore per cui il governo ha stanziato 225 milioni di euro distribuiti di qui al 2030. La struttura si concentrerà sul settore del design dei microchip, coinvolgendo sia attori del settore pubblico sia privato. Un contributo allo sviluppo di questo comparto è venuto dall’Osservatorio della Luiss, diretto da Domenico Lombardi, membro del consiglio generale di Aspen Italia e consigliere scientifico di vari think tank. Il Policy observatory ha presentato le sue proposte per un piano nazionale mirato allo sviluppo dei semiconduttori nel settore della Difesa.
Un ruolo da protagonista dovrebbe averlo il gruppo Leonardo, afferma Gianclaudio Torlizzi, autore del documento. Leonardo è già attivo nella realizzazione di circuiti integrati a microonde monolitici (Mmic), utilizzati nei radar e in applicazioni di guerra elettronica. Inoltre è l’unica azienda in Europa, assieme alla franco-tedesca United Monolithic Semiconductors, a produrre chip Mmic. Secondo Torlizzi, Leonardo dovrebbe concentrare al suo interno tutte le fasi produttive di semiconduttori molto sofisticati e diventare un fornitore per altre aziende nel comparto della Difesa. Sullo scacchiere dei produttori di semiconduttori, la partita è solo agli inizi.