Omicidio di Arnaldo Franceschino, l'ispettore scomparso a Trieste
foto da Quotidiani locali
TRIESTE Il 17 febbraio del 2000 l’ex ispettore della Scuola allievi di Polizia Arnaldo Franceschino venne visto allontanarsi per l’ultima volta dalla sua abitazione di via Giusti, nel rione di Roiano. Il 76enne era a bordo della sua Fiat Panda grigia.
Viveva da solo, era vedovo e in pensione ormai da anni. I figli nei giorni successivi fecero denuncia di scomparsa: «Indossava un cappotto grigio spinato, un cappello a falde, un pullover verde, dei pantaloni grigi, non ha con sé il passaporto», avevano riferito.
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Il ritrovamento dell’auto
Per mesi di lui non si ebbero notizie. Poi il 22 maggio dello stesso anno, in via Belpoggio, venne ritrovata la sua Panda. A segnalarla fu un conoscente dell’ispettore, che passando di là per caso la notò e avvisò la Polizia, che con gli uomini della Scientifica rivoltarono come un calzino quell’automobile, senza trovare dettagli illuminanti.
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La macchina era stata parcheggiata a pochi metri dalla sede del Servizio segreto militare: coincidenza quanto mai strana, dettata forse dalla volontà di suggerire un ipotetico coinvolgimento di Franceschino con l’ambiente degli 007 e indirizzare così le indagini.
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Il mistero delle telefonate
I figli, dopo la scomparsa, avevano scoperto che negli ultimi mesi dall’abitazione del padre erano partire decine di telefonate dirette in Siria, Libano, Pakistan, Romania, Olanda. Chiamate brevi.
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La svolta a Banne
Il 14 ottobre del 2000, dunque otto mesi dopo la scomparsa, la raccapricciante svolta nella vicenda, con i resti di Franceschino scoperti vicino a Banne. Sul teschio, all’altezza della nuca, si notavano tre buchi, «segno di colpi inferti con violenza con un martello da muratore o con un “cric”», avevano ipotizzato gli inquirenti, conviti che l’omicidio non si fosse consumato lì, ma che l’ispettore fosse stato ucciso altrove e poi trascinato in quel bosco.
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Le lettere del corvo
Il caso Franceschino era poi sparito dalle pagine della cronaca locale. Per riemergere con prepotenza nel 2009, perché tirato in ballo nelle lettere anonime che per oltre un anno un “corvo” aveva spedito per diffamare l’autore di gialli Veit Heinichen. Il delatore seriale aveva tentato dapprima di distruggere l’immagine del giallista tedesco, per poi sollecitare lo stesso Heinichen a fare luce proprio sul caso Franceschino.
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Il “corvo” lo aveva invitato a concentrare l’attenzione su un ex collega dell’ispettore, ancora in servizio ai tempi del delitto, che arrotondava lo stipendio favorendo l’ingresso in Italia di clandestini. Un passeur, insomma, che – secondo le ricostruzioni fornite nelle lettere anonime – prima si sarebbe servito del telefono di Franceschini per prendere accordi e poi lo avrebbe ucciso per evitare che quest’ultimo finisse per rubargli gli affari.
Erano stati proprio i continui, e apparentemente circostanziati riferimenti alla morte di Franceschino inseriti nelle missive anonime a spingere gli investigatori della Mobile a svolgere nuovi accertamenti su alcune tracce di Dna trovate su panni e mozziconi ritrovati nella Panda. Ma l’assassino dell’ex ispettore continua a rimanere nel buio.
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