Giovanni Santini: il futuro della ristorazione visto dalle nuove generazioni
Dal Pescatore è il ristorante col record assoluto in Italia di tre stelle Michelin (29 anni): attrae clienti da tutto il mondo nella piccolissima Runate, frazione di Canneto sull’Oglio, con una cucina legata molto al territorio. Ora il legame è ancor più solido: con la creazione di “Cascina Runate”, la nuova generazione della famiglia Santini ha avviato un’azienda agricola che produce parte delle materie prime utilizzate in cucina. Giovanni Santini, chef assieme a mamma Nadia, racconta cosa significa per la famiglia questa esperienza.
Come procede l’avventura dell’azienda agricola?
«È quasi a regime. Abbiamo 5 ettari di bosco: 2,5 di pioppeto a reddito e 2,5 di bosco perenne, al di là del ramo vecchio dell’Oglio che passa sotto al ristorante. Il ristorante, quindi, è abbracciato da un ecosistema naturale: dalla parte opposta, al di là della strada, c’è l’azienda agricola. Abbiamo 6 arnie, 15 bovini che vivono su 4 ettari di pascolo razionale a prati stabili. Non lontano, a Tornata, altri 5 ettari di prati stabili foraggeri per integrare il pascolo dei bovini durante l’inverno. Ci sono 35 galline ovaiole, a regime saranno 50. E poi gli orti e il frutteto con mele e pere per la mostarda».
L’azienda già supporta il ristorante?
«Da settembre copre totalmente il fabbisogno di carne bovina. Non macelliamo in estate: il menu stagionale non comprende ricette che consentano di utilizzare tutto il bovino. Il nostro obiettivo è utilizzare tutto l’anteriore, per cappello da prete, i ripieni degli agnoli, la lasagnetta, il biancostato per i brodi, oltre a filetto e lombata».
Come è strutturato l’allevamento?
«Siamo partiti con un’azienda votata all’ingrasso, selezionando un incrocio adatto a vivere sul pascolo, trasformando in massa al meglio l’alimentazione e anche la frugalità estiva, seguendo l’evoluzione della natura, senza fretta. Una visione diversa rispetto al bovino chiuso in stalla. Sono bovini parzialmente liberi: i 4 ettari di pascolo sono suddivisi in parcelle. In una parcella i bovini vivono due giorni, poi sono trasferiti nella parcella vicina, quindi, a scacchiera, per tutto il pascolo. Così, mangiano i prati nel miglior stato vegetativo senza consumarli e fertilizzandoli, come falciatrici naturali che rigenerano la fertilità del suolo. È un’agricoltura rigenerativa».
Qualche nuovo progetto?
«L’obiettivo è provare la Val Padana o Bianca modenese, razza antica in via di estinzione ma dentro alla realtà culturale della nostra terra: c’è chi dice risalga ai Gonzaga. Voglio valutare se nella genetica c’è una rusticità in grado di dare una risposta adeguata. Se così fosse, oltre ad avere un bovino vera espressione di una terra e di un pascolo, avrei una razza che si porta dietro un significato culturale. Farei allora anche nascere i vitelli in azienda».
La Guida Michelin 2024 vi ha assegnato la stella verde, emblema di sostenibilità...
«Siamo felici per questo e per gli altri riconoscimenti, perché sono legati a un progetto concreto, segno tangibile della nostra idea del futuro. Oggi si tende a comunicare, elogiare, premiare su qualcosa che viene raccontato. Mi sento molto distante da questo meccanismo: la mia generazione vuole evitare le parole, passando ai fatti. La nostra famiglia ha una credibilità enorme, basata su quanto fatto in 100 anni da nonni, bisnonni, ma soprattutto da mamma Nadia e papà Antonio. In futuro, non credo sarà più sufficiente: oltre a raccontare, bisogna dimostrare».
Come si combinano cucina e azienda agricola?
«Un ragazzo lavora con me: non riesco più a seguire l’azienda da solo, curo la parte animale. L’unione delle due cose è un progetto di vita: mio, di mia moglie Valentina, di tutta la famiglia. La terra con l’azienda è stata acquistata da mio fratello Alberto nel 2016, lui crede molto nel progetto. Io e Valentina, formati nella facoltà di Agraria a Piacenza, abbiamo elaborato l’idea in base a quanto la famiglia aveva a disposizione dopo 100 anni di cammino. L’azienda è legata inscindibilmente al ristorante, ma potrebbe sopravvivere autonomamente, segno concreto della nostra generazione».
È il modo in cui voi vedete il futuro della ristorazione?
«C’è chi punta all’aumento delle dimensioni aziendali con nuove aperture o consulenze. La nostra direzione è diversa: un’espansione non verso il cielo, ma verso la terra. In futuro ci saranno grandi spostamenti, evoluzioni, contrazioni. Ma sempre qualcuno vorrà partire dall’altra parte del mondo per visitare qualcosa di unico, che va costruito e alimentato, reso culturalmente più accattivante. Noi siamo ancorati a un territorio: è casa nostra, vogliamo continuare a vivere qui con la nostra famiglia, crescere i figli, far capire agli altri chi siamo e i nostri valori».