L’oste, l’avvocato, il direttore editoriale… tifosi del Mantova: «Non si resiste al richiamo della Curva Te»

Chi frequenta la curva Te lo sa. Il biancorosso azzera le differenze. Fuori dal Martelli i cuori biancorossi hanno vite diverse, ma quando si ritrovano battono all’unisono per la squadra e per la storia del club. «Ho iniziato ad andare al Martelli con mio padre a sei anni – racconta Giovanni Francesio, direttore editoriale di Neri Pozza – Mi sono proprio innamorato dell’andare allo stadio. A sedurmi è stata l’atmosfera unica. Poi devo dire che è diventato anche un modo per incontrare gli amici». “Mai una gioia” sta scritto su molte magliette, ed è così anche per Francesio: «E adesso allo stadio porto anche mio figlio. Abbiamo avuto tante delusioni, ma ora dobbiamo dire grazie ad una geniale campagna abbonamenti e alla società per una super squadra».

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I riti magici degli appassionati

Come ogni tifoso, Francesio ha i suoi riti magici: «Il mio portafortuna è la sciarpa biancorossa, di lana, che mi fece mia nonna quando avevo sette anni. Poi ho una sciarpa estiva che però metto malvolentieri». Finora il campionato del Mantova è stellare, e Francesio non teme il paragone: «Giochiamo dal basso come insegna De Zerbi. Siamo fantastici».

Dall’editoria allo studio legale, la distanza è solo di qualche gradone del Martelli. Sebastiano Riva Berni, avvocato, qualifica il suo essere tifoso con la sua collocazione “geopolitica” in curva Te. Esattamente come Francesio, si piazza nella parte alta a destra della curva, in un mondo di mezzo tra ultrà scatenati e più riflessivi.

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«Biancorosso è il colore del mio cuore – scandisce – Nel 1977 vidi la mia prima partita con mio padre e i suoi amici dell’Ugm. Già dalla prima volta ho sentito lo stadio come una famiglia: in curva mi sono trasferito alla fine di una stagione assurda iniziata con l’allenatore delle promozioni, Marcello Melani... Seguivo tantissimo, scrivevo risultati e classifiche sul diario di scuola». Riva Berni si spese dopo il fallimento di Lori per costruire una cordata per il salvataggio. Per la redazione sportiva della Gazzetta era “L’egiziano” perché al telefono rispondeva dall’Egitto, dove era in vacanza.

Di passione antica riferisce “L’oste pigro”, ossia Francesco Negrini: «Ai tempi di Sauro Frutti mio padre mi portò per la prima volta al Martelli. Ora vado in curva perché è lì che bisogna stare, è lì dove esplode la passione. In curva Te sono nel gruppo piccionaia, ossia nei posti più in alto: c’è anche il brivido nello sbalzo sul vuoto. Cosa desiderare di più?». Negrini si esprime sullo stadio nuovo: «Meglio ristrutturare il Martelli, allo stadio ci si deve andare a piedi come in Inghilterra. Anzi, ci si deve poter andare in bici, che è la cosa che faccio ogni volta, da sempre».