Morto a Parigi Toni Negri il «cattivo maestro» degli anni di piombo
Il cattolicesimo sociale e la sinistra rivoluzionaria, l’accademia e il carcere, la latitanza e l’approdo alla Sorbonne.
Era l’ultimo teorico del marxismo operaista, il professore di Padova: “cattivo maestro” secondo l’autorità giudiziaria e gli avversari politici, leader carismatico agli occhi del movimento No Global, studioso controverso ma di indubbia statura internazionale nei commenti accademici.
L’intensa vita di Antonio “Toni” Negri comincia il primo agosto 1933 nella città del Santo, in una famiglia piccolo borghese: liceale al classico Tito Livio, si laurea in filosofia morale e dopo dieci anni spesi a perfezionarsi in Europa, ottiene la cattedra a Scienze politiche diventando (è il 1967) il più giovane docente ordinario nella storia d’Italia.
La politica? Ateo convinto, entra in Azione cattolica, simpatizza per i preti-operai, incrocia Silvio Garattini, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Francesco Cossiga. Poi, il salto nel partito socialista, giudicato “libero da incrostazioni staliniste” a fronte di un Pci favorevole ai carri armati di Budapest, l’elezione a consigliere comunale, la rottura con il Psi all’alba del centrosinistra, la fondazione della casa editrice Marsilio, spalleggiato dalla prima moglie Paola Meo e dai fratelli De Michelis.
“Chi abbandona il marxismo perde la capacità di distinguere il bene dal male”, sentenziava Lenin, e Negri cavalca l’onda ribelle contro riformismo e revisionisti. È il tempo della contestazione: le riviste di lotta – Quaderni Rossi, La Classe, Controinformazione – l’adesione a Potere Operaio con Oreste Scalzone e Franco Piperno, le assemblee a Porto Marghera e alla Fiat Mirafiori, i colloqui torinesi con Renato Curcio, pioniere delle Br.
Fino al convegno di Rosolina del 1973, con lo scioglimento di Potop e la nascita di Autonomia operaia, della quale il professore è ideatore e leader.
Teoria e prassi: nei saggi “Marx oltre Marx”, “Proletari e Stato”, “Dominio e sabotaggio”, la violenza è definita “ingrediente necessario del programma comunista”.
Un prologo all’offensiva di Autonomia, costellata di intimidazioni, pestaggi, ferimenti, attentati dinamitardi che proiettano tristemente il Veneto all’attenzione nazionale.
Anni di piombo e di leggi speciali, culminati nella retata del 7 aprile 1979 disposta dal pm Pietro Calogero e fortemente sostenuta dal Pci, bersaglio privilegiato delle violenze: Toni Negri, al pari di centinaia di militanti, finisce in un carcere di massima sicurezza con accuse pesantissime, inclusi il concorso all’uccisione di Aldo Moro e la paternità della telefonata che annunciava l’esecuzione dello statista democristiano, poi smentite dalle indagini.
In attesa di giudizio, è il 1983, il “cattivo maestro” accetta la candidatura offerta da Marco Pannella: eletto nelle liste radicali, è scarcerato ed entra in Parlamento. Polemiche furiose, finché la Camera concede l’autorizzazione al suo arresto. Troppo tardi: il deputato è fuggito in Francia, che in nome della “dottrina Mitterrand” offre asilo ai, veri o presunti, perseguitati politici.
Processi in contumacia, allora: riconosciuto colpevole di insurrezione, banda armata e associazione sovversiva, Negri è condannato a trent’anni, ridotti a 12 in Appello e confermati in Cassazione.
A Parigi, sostenuto dagli amici Gilles Deleuze e Félix Guattari, trascorrerà 14 anni, insegnando in vari atenei e istituti superiori. Rientrato in Italia, sconta il residuo di pena nel carcere romano di Rebibbia, tra reclusione e semilibertà, saldando infine il conto con la giustizia nella primavera 2003. Il ritorno nell’accogliente Parigi coincide con la ritrovata vena politica e accademica. Consulente del presidente venezuelano Hugo Chavez, habitué della Sorbona, insieme all’allievo Michael Hardt, sforna “Impero”, “Moltitudine”, e “Commonwealth”.
La trilogia, pubblicata dall’università di Harvard, diventerà la bibbia dei movimenti ostili alla globalizzazione del mercato, suscitando ampia eco internazionale. Che altro? A Padova, nell’estate 2015, tra vecchi compagni e giovanotti dei centri sociali, il Grande vecchio incita “all’eterna rivolta contro gli sfruttatori”. L’ultima zampata di un rivoluzionario impenitente.