Femminicidio di Saman Abbas, il padre nega tutte le accuse e dà del bugiardo al figlio testimone. Giudici in camera di consiglio
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Un’ora e quaranta minuti per negare tutte le accuse davanti alla Corte d’assise di Reggio Emilia. Prima che i giudici si ritirassero in Camera di consiglio per la sentenza sul femminicidio di Saman Abbas, Shabbar, il papà della 18enne uccisa dopo aver rifiutato un matrimonio forzato, ha rilasciato le sue dichiarazioni spontanee. E non solo […]
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Un’ora e quaranta minuti per negare tutte le accuse davanti alla Corte d’assise di Reggio Emilia. Prima che i giudici si ritirassero in Camera di consiglio per la sentenza sul femminicidio di Saman Abbas, Shabbar, il papà della 18enne uccisa dopo aver rifiutato un matrimonio forzato, ha rilasciato le sue dichiarazioni spontanee. E non solo ha negato di aver ucciso la figlia, per il cui omicidio è imputato insieme alla moglie (ancora latitante), allo zio e ai due cugini, ma ha anche accusato il figlio minore di aver detto bugie sulle sue responsabilità. Una lunga serie di “non è vero”, pronunciati in italiano davanti ai giudici e che sono andati a smentire la ricostruzione dell’accusa.
Le parole del padre – Shabbar Abbas, estradato in Italia a settembre scorso, era fuggito in Pakistan subito dopo la morte della figlia. E fino a oggi, mai si era pronunciato. E soprattutto, come sostenuto dal procuratore Gaetano Paci durante la requisitoria delle scorse settimane, mai “ha espresso un gesto di pietà” nei confronti di Saman. Né lui, né alcuno dei familiari imputati. Oggi, parlando, ha accusato tutti di dire “falsità“, facendosi sentire con la voce rotta. “Non è vero che sono persona ricca, non è vero che sono una persona mafiosa. Non è vero che ho ammazzato una persona qua, una in Pakistan. Non è vero che sono andato a casa di Saqib (il fidanzato di Saman, ndr) a minacciare. Anche questo è falso, come quelli che dicono ‘ha ammazzato la figlia ed è scappato via’”. Shabbar Abbas ha sostenuto di volersi “liberare di tanti mesi di peso”. Il padre è arrivato e negare quanto testimoniato da operatrici e servizi sociali sulla condizione della figlia: “Non è vero che stava sempre chiusa”, ha detto. E ha poi accusato il figlio minore: “Ha detto che lo picchiavo. Signori giudici, nella mia vita non ho mai picchiato nessuno”. E ha cercato di sminuire il giovane: “La sua lingua ha parlato, il suo cuore non ha parlato. E’ un ragazzo così”.
E ha poi accusato anche Saman di “dire bugie”. E si è presentato come un genitore che “mai pensa male per i figli”: “Sempre le volevo bene, sempre ho lavorato in campagna, sotto le serre, mai sono andato a rubare”. Saman Abbas è stata uccisa dopo aver rifiutato il matrimonio forzato deciso dalla sua famiglia. Ma Shabbar ha negato anche questo: “Non era un matrimonio combinato. Lei era contenta”, ha sostenuto. Ma al tempo stesso ha confermato la sua disapprovazione per il fidanzato che Saman si era scelta: “Quello tra Saman e Saqib, il fidanzato della giovane non era amore, noi diciamo che non era una bella cosa. Tutti noi parenti eravamo arrabbiati”.
In realtà, proprio nel caso di Saman Abbas erano già intervenuti i servizi sociali e la ragazza era stata allontanata: “Io non sapevo perché mia figlia veniva portata via da loro”, ha sostenuto oggi Shabbar Abbas. “Quando andavo dai carabinieri, mi dicevano ‘aspetti fuori. Vai a casa’. Pensavo che fosse perché ero straniero, pachistano e che a loro non fregava niente. Quando tornavo a casa mia moglie lei mi diceva ‘cosa hanno detto’, e io le dovevo dire delle bugie, le dicevo che la settimana dopo avremmo saputo. Lei piangeva, batteva la testa contro il muro”. Shabbar Abbas ha accusato gli stessi servizi: “Signori giudici, questi servizi sociali non pensano ai minorenni, non li trattano bene. Questi escono, fumano. E’ un disastro. Rovinano la vita dei bambini”. E ha chiuso la sua arringa dicendo: “mai nella vita mia ho pensato di uccidere mia figlia. Era mio cuore, mio sangue, ho portato qua il mio cuore e il mio sangue. Non ammazzo figli, non sono un animale. Neanche da pensare”. E sul chi l’hsa uccisa, ha detto: “Vorrei capire anche io chi l’ha ammazzata, chi è venuto a prenderla quella sera”. Saman è stata uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio, ma Shabbar Abbas sositene di aver ricevuto un messaggio da lei il primo maggio in cui le diceva che “stava bene”. Messaggio che non è mai stato trovato. Quindi si è limitato a dire che la ragazza quella sera sarebbe andata via, senza che né lui né la moglie sapessero con chi.
Il processo – È attesa per questa sera la sentenza di primo grado del processo per l’omicidio di Saman. Chiesto dalla Procura, nell’udienza di venerdì scorso, l’ergastolo per lui e per la moglie, Nazia Shaheen, madre della giovane pakistana ancora latitante, e il ricalcolo della pena per lo zio Danish Hasnain e i due cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq, riconoscendo per i tre le attenuanti generiche.
Fondamentale, per delineare la dinamica del femminicidio,è stata la testimonianza resa spontaneamente in aula dal fratello della vittima, Ali Heider che, assistito dall’avvocato Valeria Miari, ha raccontato di aver sentito il padre in casa pronunciare la parola ‘scavare’, invitando poi i cugini e lo zio di Saman a ‘passare dietro le telecamere’, preoccupandosi poi che questa stessa premura la adottasse il figlio, costretto a restare in casa per non essere ripreso. Secondo l’accusa, è dall’uscio della porta, infatti, che Heider avrebbe assistito a una dei passaggi centrali del delitto. Davanti alla presidente della Corte Cristina Beretti, ha sostenuto che lo zio ha afferrato per il collo la sorella per portarla dietro alla serra, insieme ai cugini. Versione contestata dalla difesa degli imputati, secondo cui l’ora buia in cui avvenne il fatto e la scarsa illuminazione avrebbero reso impossibile riconoscere i volti dei protagonisti.
Una battuta d’arresto, nelle ultime fasi del processo, l’aveva fatta registrare proprio la dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni del giovane pachistano, ascoltato all’epoca dei fatti ancora minorenne senza essere iscritto nel registro degli indagati anche a sua garanzia. E’ stato sempre il fratello di Saman a ricostruire in aula gli ultimi istanti di vita della 18enne, dalla lite in casa per le chat con il fidanzato scoperte dal padre al cambio di abiti in bagno. E’ stato il procuratore capo Paci, durante la requisitoria, a delineare i tratti di una famiglia dalla struttura simile a quella di una “ndrina calabrese”. Da quella morsa Saman Abbas, con il suo rifiuto per le nozze forzate, ha cercato di liberarsi. E per questo, sostiene l’accusa, è stata uccisa.
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