Arturo Pérez-Reverte al festival Dedica di Pordenone: «Ho voluto vivere, prima di scrivere»
Bagno di folla al Teatro Verdi per lo scrittore spagnolo a lungo reporter di guerra. «Ho incontrato donne che mi invidiereste». Dal Comune il Sigillo della città
«Viviamo, tutti, i minuti prima dell’esecuzione. Si tratta soltanto di scegliere come trascorrerli». Drastica, indiscutibile, realistica, è questa la visione del mondo che la guerra ha insegnato ad Arturo Pérez-Reverte, protagonista a Pordenone della 30° edizione del festival Dedica, organizzato dall’associazione culturale Thesis e al via sabato con un vero e proprio bagno di folla nel teatro Verdi.
Reporter di guerra prima, passato alla scrittura quando «nel corso della guerra dei Balcani – racconta nella conferenza stampa che anticipa l’incontro con il pubblico – mi sono reso conto che il giornalismo di guerra, come lo avevo vissuto io, era ormai finito» e autore dall’enorme successo. Narratore spagnolo dalla scrittura cruda, diretta, immediata e allo stesso tempo ricca e complessa, affascina per la sua indiscutibile capacità di descrivere l’umanità, il bene e il male soprattutto di cui è fatta, con assoluta naturalezza. Anche ad ascoltarlo raccontare di torturatori, stupri, devastazioni, tutto ciò di cui si compone una guerra, emerge più che la drammaticità, l’innata predisposizione al male dell’uomo.
«La guerra è uno stato naturale – osserva - è che in Occidente credevamo stupidamente fosse qualcosa di strano che avviene, emarginato dalle nostre vite, ma quando guardiamo al passato ci rendiamo conto che da Troia a oggi è cambiata solo la tecnica, gli strumenti, i droni al posto del cavallo, il meccanismo però è lo stesso: l’uomo è un animale pericoloso che affronta e risolve i suoi problemi con violenza, con la legge del più forte. Quello che accade in Ucraina ora è naturale, non lo è, invece, parlarne in un contesto letterario e in termini civili come facciamo noi (e deve essere così, ci mancherebbe) perché l’umanità non vive nel dialogo. E siccome non leggiamo più, abbiamo perso la capacità di interpretare il presente alla luce del passato».
La guerra, la storia, il mare, i libri, le donne, eroi, trafficanti, sono alcuni dei temi dell’imponente produzione di Arturo Pérez-Reverte, con onorificenze della Corona spagnola al merito navale, Cavaliere di Francia dell’Ordine delle Arti e delle lettere.
«A differenza del mio amico Javier Marías, che voleva sin da piccolo scrivere la vita, io volevo prima viverla, incarnare i personaggi di cui leggevo».
Meticoloso, curioso, appassionato, scrive “L’italiano” come omaggio a un Paese che ama più degli altri «la mia storia d’amore con Italia è lunga e appassionata, intanto perché sono mediterraneo e quando vengo qui mi sento a casa, è la mia memoria, il mio sangue».
Non ha dubbi sul futuro della letteratura. «Ormai finita, ha un futuro invece la narrazione perché l’essere umano avrà sempre bisogno di narrazione, magari con altri supporti narrativi, se avessi vent’anni oggi racconterei con i videogiochi o con le serie televisive».
Né ha dubbi sulla superiorità delle donne, «ho incontrato donne che voi mi invidiereste non per merito mio ma per le circostanze eccezionali in cui le ho incontrate. Ho visto la loro fierezza, la solitudine, la paura, l’amarezza, il sentirsi in pericolo, la paura della morte. Non c’è animale più pericoloso di una donna ferita o creatura più fedele di una donna innamorata. Sa colpire e distruggere con efficacia, e se ama protegge in modo assoluto. La frase più bella che un uomo può sentirsi dire non è “ti amo”, ma “dormi, adesso veglio io”».
Pubblico rapito, inevitabilmente, e la consegna del sigillo della città da parte del vicesindaco e assessore alla cultura Alberto Parigi, chiudono con emozione l’avvio di Dedica 2024 ad Arturo Pérez-Reverte.