Il professor Tivoli e la questione razziale
1934: all’università di Breslavia giunge una segnalazione del nostro consolato che il professor Carlo Tivoli, lettore di italiano alla cattedra di Romanistica è ebreo e che, in base alla legge tedesca sul “ripristino del funzionariato” che prevedeva il licenziamento di funzionari ebrei, socialdemocratici, comunisti e invisi al nazismo, doveva essere licenziato. Un piccolo, infame episodio di delazione, di cui è venuta casualmente a conoscenza, attraverso fonti depositate negli archivi di Berlino e Wroclaw (l’attuale nome di Breslavia, oggi Polonia) la storica triestina Marina Cattaruzza, professore emerito all’università di Berna, che ha pubblicato recentemente sulla Nuova Rivista Storica il saggio “Quel giorno a Ginevra: le occasioni mancate della monarchia asburgica 1917-1918”, recensito su questo giornale il 25 settembre 2023.
Professoressa, cosa sappiamo del giovane Carlo Tivoli, che fu tra il 1932 e il 1934 lettore di italiano all’Università di Breslavia?
«Carlo Tivoli era nato a Trieste il 26 aprile 1898 da padre ebreo e madre cattolica. Fu battezzato nel 1900. Non fu mai iscritto alla Comunità ebraica. Combatté nella Prima guerra mondiale nell’esercito austriaco. Sappiamo che frequentò il liceo Dante. Lo troviamo come docente di lingua e letteratura tedesca al “Combi” di Capodistria già negli anni Venti. Nel ‘32 fu nominato lettore di italiano alla cattedra del professor Neubert all’Università di Breslavia, in Prussia».
La vicenda si dipana dalla fine di agosto alla fine di novembre del 1934: quali sono le diverse fasi?
«A detta di Fritz Neubert, Tivoli si trovava benissimo a Breslavia, dove intendeva rimanere. Era molto attivo e ben voluto. Al momento del rinnovo del contratto, finanziato dallo Stato italiano, il Rettore dell’Università fu informato attraverso il console italiano a Breslavia che detto contratto non sarebbe stato rinnovato, con la seguente motivazione: “È di razza israelitica e perciò la sua attività non può essere gradita né alle autorità accademiche né alle autorità governative del Reich”. Il Rettore, Neubert e persino il Ministero prussiano per la scienza, arte e istruzione presero le difese di Tivoli, mettendone in luce lo “zelo lodevolissimo” e affermando che il suo allontanamento sarebbe stato una perdita per l’Università. Ma sulla buona volontà dei prussiani venne a cadere come una mannaia un parere giuridico richiesto dallo stesso Ministero a un proprio funzionario: “Dovremmo inevitabilmente dichiararci d’accordo con la sostituzione di Tivoli con un altro lettore, se questi effettivamente fosse ‘non ariano’ per parte di padre».
Che accadde?
«A Tivoli fu quindi inviato un questionario, con cui tutti i funzionari dello Stato tedesco dovevano attestare la propria origine “ariana”. Il modulo fu spedito alla “Pensione Belvedere” a Roma, dove un disperato Tivoli tentava di perorare la sua causa all’Ambasciata tedesca. Infine lo scartafaccio lo raggiunse a Trieste, in via Volta. Tivoli non poté rientrare a Breslavia. Se Roma non avesse sollevato la questione avrebbe potuto continuare la sua attività a Breslavia ancora per un paio d’anni».
Come si spiega l’atteggiamento delle autorità accademiche e politiche tedesche e di quelle italiane nel “caso Tivoli”?
«Una vicenda con aspetti paradossali e punti oscuri: l’allontanamento di Tivoli da Breslavia fu dovuto a manovre del Ministero degli esteri italiano in un’epoca in cui il fascismo non aveva ancora imboccato la via dell’antisemitismo e della legislazione discriminatoria. La svolta sarebbe iniziata nel biennio 1935-36, con la guerra d’Etiopia.
Sulle motivazioni che portarono alla denunzia brancoliamo nel buio. Sappiamo che al suo posto fu chiamato Lorenzo Giusso, fine intellettuale di impostazione gentiliana, i cui interessi riguardavano però soprattutto la letteratura spagnola. Ancora più interessante l’evidente malumore con cui l’ateneo di Breslavia e il Ministero prussiano reagirono alle interferenze italiane, dovuto a varie cause: i tedeschi erano irritati (non a torto) per esser stati messi di fronte al fatto compiuto.
Più volte affermarono che il richiamo di Tivoli in Italia era una misura affrettata, dato che gli accertamenti sulla sua origine “razziale” erano ancora in corso. Inoltre, la legge citata prevedeva molte eccezioni, tra cui quella riguardante i combattenti della Prima guerra mondiale nell’esercito tedesco o in eserciti alleati (era il caso di Tivoli), o padri e figli di caduti in guerra. In terzo luogo, la Prussia era stata fino al 1932 una roccaforte della socialdemocrazia, quando i nazisti vi organizzarono un colpo di Stato. È quindi ipotizzabile che la nazificazione dei gangli dell’amministrazione non vi fosse ancora completa».
Dopo l’allontanamento, che cosa fa il professor Tivoli?
«Rientra a Trieste (si può immaginare quanto amareggiato) e, assai probabilmente, riprende fin da subito la sua attività di insegnamento a Capodistria. Qui conosce anche la sua futura moglie, Antonia Longo. Nel 1941 nasce il figlio Vittorio. Livio Vasieri, assessore alla cultura nella Comunità ebraica di Trieste, mi ha fatto la cortesia di segnalarmi che nel 1942 Carlo Tivoli era stato schedato dalla Prefettura di Trieste nell’”elenco B”, ossia non tra gli “ebrei effettivi” (elenco A), ma tra i discendenti “misti”. Purtroppo non sappiamo nulla di come superò il terribile biennio dell’occupazione nazista. Nel dopoguerra ricompare come docente di tedesco al liceo “Dante” e qui ha un allievo illustre come il professor Claudio Magris che lo ricorda con ammirazione e affetto».